Cannubi, la collina più importante del Barolo, dove un ettaro ha un valore di mercato superiore ai 500.000 euro, è semplicemente Cannubi, da cima a fondo. Chi vuole indicare in etichetta anche delle indicazioni aggiuntive come “Boschis”, “Valletta”, “San Lorenzo”, potrà continuare a farlo, ma chi non vorrà, potrà semplicemente indicare la parola “Cannubi” in etichetta. Ecco, in sintesi, la decisione del Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso presentato dal Ministero delle Politiche Agricole contro una sentenza del Tar del Lazio del Marzo 2012, che aveva, di fatto, bocciato il disciplinare che prevedeva questa possibilità, accogliendo le richieste di 11 produttori Mascarello, Fratelli Borgogno, Brezza, Camerano, Drocco, Damilano, Einaudi, Fontana, Sandrone, Scarzello, Carretta) sulle modifiche al disciplinare.
Una decisione che va incontro, tra le altre, ad una delle aziende storiche del territorio, Marchesi di Barolo, di proprietà (dal 1929) della famiglia Abbona, che ha prodotto una documentazione (con tanto di bottiglie dei primi del 1900) dove si attestava che già un secolo fa i vini prodotti erano etichettati con la semplice indicazione “Cannubi”.
Leggendo tra le righe della sentenza, emerge che per la Commissione che ha valutato il ricorso, di fatto mancherebbero, tra gli altri quegli elementi di differenziazione tra un appezzamento di terreno e l’altro, sulla collina di Cannubi, tali da giustificare l’obbligo, per i produttori, di indicare la “sottozona”. E così sono (o tornano ad essere) 34 gli ettari di vigneto che possono dare origine al Barolo Cannubi, come previsto dal disciplinare prima bocciato dal Tar, e poi “riabilitato” dal Consiglio di Stato, e non solo 15, come previsto, invece, dal disciplinare fino ad oggi in vigore.
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