Non sono più di moda i cosiddetti “winemaker’s wine”, i tagli di diverse uve di diverse zone di produzione, a volte addirittura regioni, che dovevano dimostrare un virtuosismo tecnico molto elevato e pure una vena creativa, una capacità di inventiva da vero poeta della cantina. In un momento in cui si privilegia, giustamente, l’espressione territoriale e varietale, il ruolo dell’enologo è stato non solo ridimensionato ma anche ridefinito. Non più demiurgo, questa figura professionale ora deve agire solo come interprete della terra - del suolo, del microclima e delle uve del luogo d’origine del vino. Non è probabile che soffra di manie di protagonismo Valentino Cirulli, enologo, ricercatore, e produttore in diverse zone d’Italia, ma questo nativo della parte bassa della provincia di Chieti, vicino al confine con il Molise, indubbiamente conosce il classico taglio del nord della Puglia: Montepulciano più Aglianico o Nero di troia. Che forse ha ispirato il suo Viteliù 2012, blend di Aglianico (il 40%), Montepulciano (altro 40%) e Tintilia (il rimanente 20%). Il primo fornisce l’intensità e i profumi vulcanici, il secondo corpo, dolcezza e rotondità e l’ultimo una leggera tannicità che aggiunge lunghezza e concentrazione. Una creazione che non solo è territoriale e rispettoso delle sue origini ma riesce anche a fondere i diversi componenti in un insieme molto importante e convincente.
(Daniel Thomases)
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