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IL CONVEGNO

Tra lusso, sostenibilità e capacità di raccontarsi: il futuro dei grandi vini, come l’Amarone

Spunti e riflessioni dalla Conferenza annuale della Valpolicella, che precede “Anteprima Amarone”
AMARONE, LUSSO, VALPOLICELLA, vino, Italia
Le uve in appassimento che daranno vita all'Amarone della Valpolicella

“L’Amarone ha raggiunto un grande successo molto velocemente, ma è una denominazione molto giovane. I primi Amarone sono usciti soltanto negli anni 50 e i riconoscimenti iniziali risalgono agli anni 90. Ecco direi che l’Amarone ha una storia soprattutto davanti. È vino che si potrebbe definire “futurista”, emblema della velocità cara a Marinetti e al suo movimento artistico”.
Così Andrea Sartori, presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, ha aperto la seconda Conferenza annuale della Valpolicella oggi a Verona, che precede l’Anteprima Amarone (2-4 febbraio), dove si è riflettuto su tematiche come lusso e valori del vino per conquistare i mercati.
“L’Amarone, inoltre, dal punto di vista organolettico è nato giovane - ha sottolineato il presidente del Consorzio - ha carattere, struttura, ma anche rotondità, frutti rossi e ciliegia. Praticamente la fotografia del vino preferito dai consumatori “moderni”. Tuttavia pur se abbiamo un posizionamento medio-alto, perché l’Amarone diventi più iconico, come imprenditori abbiamo delle responsabilità. Il Consorzio può fare molto circa la qualità, il governo della domanda e dell’offerta, ma noi produttori dobbiamo fare investimenti in librerie di annate, nel turismo premium e luxury. Si tratta di investimenti necessari che richiedono del tempo”.
Comunque sia, il vino principe della Valpolicella è entrato a pieno titolo tra fine wines “perché ha le caratteristiche che i consumatori premium associano a questi vini - ha spiegato Pierpaolo Penco, Country Manager Italia di Wine Intelligence - e cioè longevità, costanza qualitativa e capacità di essere rappresentativo di un territorio, in questo caso, o di un vitigno. Il prezzo elevato è solo una delle caratteristiche ed è secondario. Ovviamente tanto più si spende tanto più si vuole un riscontro sul valore del vino. E raccontarlo questo valore può essere più o meno difficile a seconda del Paese. È più facile in Usa, per una vicinanza culturale dovuta all’immigrazione di italiani e per vicende storiche, come il post seconda Guerra mondiale. Non è così in Cina dove, non a caso la Francia è arrivata a raccontare i vini attraverso la storia del suo Paese negli anni 70 ed è forte di accordi bilaterali che hanno portato lì anche la grande distribuzione. Come pure ha fatto l’Australia che ha cominciato a raccontare i vini per diverse Regioni di provenienza, al contempo incoraggiando il turismo cinese”.
D’altra parte la frammentazione della viticoltura italiana, con piccolissime superfici medie, la numerosità dei produttori, dei vitigni e delle denominazioni non è cosa facile da comunicare. Inoltre non ci sono masse critiche di prodotto per affrontare i mercati e spesso gli imprenditori sono in difficoltà a portare avanti le aziende senza flussi di denaro che permettano di fare investimenti.
“In Italia le aziende fanno fatica a rivolgersi agli strumenti di finanza alternativa rispetto ai tradizionali strumenti bancari - ha detto a questo proposito e parlando a titolo personale Renato Maviglia, dirigente Consob. Strumenti innovativi come i private equity, i mini bond e il crowdfunding a livello iniziale e poi i mercati borsistici, Borsa italiana, mercato Aim dedicato alle imprese in crescita, aiutano a determinare una organizzazione migliore dell’impresa per affrontare i mercati e per conservare in cantina vecchie annate. Si pensa che si tratti di strumenti riservati alle grandi imprese, mentre si rivolgono anche alle piccole e medie imprese con fatturati inferiori ai 10 milioni di euro”.
Lo sbocco più ambito per un fine wine come l’Amarone è, però, senza dubbio il mercato del lusso, come quello di Dubai e degli Emirati Arabi, che vanta 15 milioni di visitatori di cui il 70% appartenenti al segmento lusso.
“Abbiamo una clientela che cerca marchi prestigiosi - ha sottolineato Tushar Borah, sommelier del Burj Al Arab di Dubai, Jumeirah Group of Hotels - e l’Amarone è considerato tale. Viene richiesto soprattutto da ospiti provenienti da Russia, Cina ed Europa. I più esperti, spesso russi, conoscono bene anche i marchi e i produttori. Riscontro anche che associano l’Amarone all’area di produzione e chiedono anche altri vini della doc Valpolicella che ho acquistato, come propongo anche riserve e annate vecchie in verticale. Per centrare appieno il segmento del lusso consiglio i produttori di proporre edizioni limitate e/o annate particolari. Il prezzo per questa clientela non è importante, conta la storia. Noto che per farsi conoscere più che recensioni e premi è importante che ci siano celebrità che bevano quel vino: consiglio di trovare dei testimonial in ogni mercato. Come pure importante è il ruolo svolto dai sommelier. Spesso si tratta di una clientela che sceglie prima il vino che vuole bere e di conseguenza ordina il cibo. E poi l’Amarone è molto duttile nell’abbinamento, non va solo con la cucina italiana”.
“Se la ristorazione italiana nel mondo ha aiutato la diffusione dei nostri vini, non è più l’unico riferimento - ha proseguito Penco - in Cina non si può entrare pensando all’abbinamento vino-cibo. Piuttosto bisogna parlare di cosa è l’Amarone per un consumatore cinese di vino importato, che di solito risiede un città di prima o seconda fascia con molti milioni di abitanti, acquista on line, spesso da mobile. È nella fascia di età tra i 35 e i 45 anni, in cerca di esperienze nuove, spesso ha viaggiato, è stato anche in Italia e ha buone capacità di spesa e associa l’Amarone, non ancora molto diffuso, ai fine wine francesi e australiani. Bisogna dire che l’Amarone ha una riconoscibilità elevata, ma deve imparare a parlare con i consumatori più giovani rispetto a quelli di fascia di età più alta a cui normalmente si rivolge. I millennial sono quelli che leggono di più e più parlano con gli amici e, inoltre, vedono il turismo come esperienza importante per conoscere anche i vini, nel loro Paese e all’estero”.
L’Amarone si conferma ai vertici delle vendite dei rossi italiani anche on line. A dirlo i dati raccolti da Tannico su 100 mila clienti. “Segmentando il nostro database - ha raccontato Marco Magnocavallo, amministratore delegato di Tannico - considerando come fine wine quelli con un prezzo superiore a 15 euro, l’Amarone si posiziona al terzo posto a pari merito con Bolgheri, preceduto da Brunello di Montalcino e Barolo. Il cliente che lo compra però ha un elevato livello di istruzione e spende due volte di più degli altri e ordina ogni due bottiglie del rosso veronese una etichetta di Champagne. Dalle ricerche possiamo valutare anche i percorsi di avvicinamento all’acquisto: la metà cercano l’Amarone e poi si fanno guidare da punteggi, recensioni e premi, l’altra metà va dritta al brand. In ogni caso il fattore prezzo è molto importante perché anche un’oscillazione minima di 1-2 euro muove i volumi su vini da 30 euro. I millenial bevono di meno, ma spendono di più per singola bottiglia. Sono molto attenti al marchio e alle tendenze, alle mode come adesso sono i vini dell’Etna, le bollicine e i vini naturali. C’è bisogno di un nuovo modo per raccontare il vino, con un legame più vero con il territorio che passa anche per la sostenibilità”.
Dunque, se fino a 30 anni fa il valore del vino passava quasi esclusivamente dalla qualità, oggi che la qualità è un prerequisito, i valori di cui si fa portatore e ambasciatore si sono molto ampliati. “Non bisogna dimenticare che il vino è un prodotto voluttuario - ha detto Olga Bussinello, direttrice del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella- e alla qualità deve affiancare valori come quello della sostenibilità ambientale ed etica, della convivialità e della ricerca. Aspetti che hanno anche un peso sui mercati”.
Aspetti che è molto importante certificare, cosa su cui secondo Christian Ewert, presidente di Amfori (associazione leader nel commercio sostenibile ) l’Italia è indietro rispetto a molti altri Paesi.
Tuttavia oggettivamente la realtà viticola italiana è molto variegata per condizioni meteo, orografia, varietà, ecc., e nonostante il fiorire di protocolli (anche come quello del Consorzio Valpolicella Riduci-Risparmia-Rispetta) non esiste un marchio di certificazione nazionale di sostenibilità. “Certamente saremmo più credibili - ha detto Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura alla Camera - se avessimo un marchio nazionale di sostenibilità, ma c’è difficoltà a fare sistema. Abbiamo lavorato sull’etichettatura dei prodotti alimentari sancendo l’obbligo della provenienza del principale ingrediente, ora stiamo lavorando sulla nuova Pac e sull’introduzione dei vitigni resistenti”.

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