Lascia o raddoppia? Eh sì: verrebbe da usare il celebre refrain di Mike Bongiorno per raccontare il gioco che la famiglia Uberti, premiata maker in Franciacorta (Comarì, Magnificentia, Sublimis, Francesco I in una gamma che ha fatto felici non si sa quanti intenditori o semplici lovers di belle bolle) s’è messa a giocare un po’ d’anni fa. Tarlo di Agostino, il tycoon, complice sua moglie (più che un braccio destro una dea Kalì) Eleonora, con esito finale commesso poi a Silvia, enologa e figlia di casa (l’altra è Francesca, pure lei in campo) che ha messo mani e naso quasi bimba nei fusti e i lieviti di una delle più iconiche maison di Champagne, a far arguta dialettica coi solidi saperi franciacortini. L’idea è una cuvée che sa di “solera”: raccontare, cioè, mescolando annate successive, in una grande (nel taglio e nelle ambizioni: solo magnum) bottiglia, un ciclo naturale e produttivo, una tranche de vie di un’azienda e un territorio. Sono partiti con cinque annate (il Quinque) replicando il gioco con gloria crescente. Ora, il raddoppio. DeQuinque, cioè dieci annate, solo Chardonnay, viti ultratrentenni, fermentazioni in legni da 32 ettolitri, almeno 70 mesi (ma si va poi lunghi, senza fretta) sui lieviti. Risultato? Un botto. Maturo e intenso ma fresco e tirato, elegante e cremoso, denso e verticale. Dialettico, in una parola. Ed esplosivo. Il rischio? Uno. Che non basti la magnum…
(Antonio Paolini)
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