Non mancano certo glorie e successi a quest’azienda bolgherese. Che da un pezzo ormai miete allori coi suoi Paleo, Scrio, Messorio (i cavalli di razza che portano avanti al singolare ciascuno la voce d’un vitigno, Franc, Syrah e Merlot rispettivamente), e da anni implementa con costanza una traiettoria di crescita con pochi paragoni anche in una zona certo non avara di grandi e grandissimi nomi. Da qualche edizione però i vini prodotti qui sono sempre più (ci si passi l’espressione) un “affare di famiglia” e di microterroir: il loro. La ricerca identitaria sembra essersi ulteriormente acuita, in uno slancio di “svestizione” da ogni elemento distraente o cosmetico, in vigna (dove la linea “green” è ormai vangelo) come in cantina. E dunque, mentre i vini big di nuova edizione maturano senza fretta in casa per arrivare ai fan nel modo e al punto giusto (e aspettatevi vere sorprese e novità, che il preassaggio annuncia con nettezza, ma che non sarebbe accorto né giusto spoilerare qui), il vino “sunto” delle uve e delle terre di casa, il Bolgheri Rosso, base solo di nome ma sapida delizia di fatto, propone, domando in scioltezza l’annata non semplice, frutto e freschezza, profumo e (piaccia o non piaccia a qualcuno la parola) quel mix di suadenza e croccantezza che fa di un calice un goloso mix di sensazioni e di una bottiglia, in felice souplesse, un contenitore presto vuoto.
(Antonio Paolini)
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