La storia della vitivinicoltura umbra non può essere ben delineata senza soffermarsi sull'esperienza Lungarotti. Agli inizi degli anni '70, la visione pioneristica di Giorgio Lungarotti innescò un vero e proprio circuito virtuoso che ha disegnato l'Umbria del vino, creando un distretto come Torgiano, con il suo albergo, il ristorante, i musei del vino e dell'olio, l'agriturismo. Oggi produce 2.500.000 bottiglie, grazie a 250 ettari di vigneto (di cui 20 a biologico dal 2014 a Turrita di Montefalco), ma non è calata l'intenzione di emergere nell'affollato panorama enoico del Bel Paese. C'è prima di tutto un'etichetta, Vigna Monticchio, a rappresentare il vino bandiera aziendale, forte della sua costanza qualitativa nel tempo (Lungarotti può, insieme a poche altre aziende in Italia, concedere una profondità di annate davvero esaustiva per il suo Sangiovese: una "certificazione" immune da ogni apriorismo). Ma non solo. Benché nell'attuale fase del succedersi delle mode enoiche non sia una tipologia protagonista, il San Giorgio (nato nel 1977 da un blend di Cabernet Sauvignon, Sangiovese e Canaiolo) rimane un bellissimo vino, anch'esso "garantito" da una costanza qualitativa certificabile nel tempo. La versione 2016 si rinnova nell'uvaggio: metà Cabernet Sauvignon, metà Sangiovese, ha naso ampio di frutta rossa e spezie dolci. In bocca, si concede succoso con trama articolata ma sempre fragrante e mai inutilmente sorretta dai legni di affinamento.
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