Quando si parla di simboli enoici, il nome di Ciro Picariello non è mai di troppo. Ecco perché ogni volta che si volessero gettare sul tavolo nomi e cognomi, fra quelli che con il loro lavoro hanno rappresentato al meglio quanto un vitigno e un territorio potrebbero raccontare, il rischio di ripetersi è dietro l’angolo: perché sempre con Ciro Picariello dovremmo andare a impattare, pur se ovviamente con grande piacere. Ciro e il suo Fiano, innanzitutto: anche se con Greco o Falanghina non è che comunque qui si proceda con minor passione. Un approccio alla materia che deve molto anche a Rita, moglie del Nostro: così come ai figli Emma e Bruno, oggi partecipi del credo e dell’operato aziendale. Gran parte della produzione arriva da oltre seicento metri d’altitudine: frutto anche di vigne a piede franco, di oltre ottant’anni d’età, disposte sul percorso che sale verso la Torre Angioina, elemento distintivo della cittadina avellinese di Summonte. Tant’è che è impossibile non menzionare la vecchia vigna allocata a Campo di Maio, capace di regalare un colpo d’occhio di bella suggestione. Fiano, si diceva, e ad alti livelli: toni affumicati e di torba si legano a ricordi di fiori bianchi, mela, nocciola, fieno e pietra focaia, anche per via di una sosta sulle proprie fecce fini, protrattasi per una decina di mesi. Foriera di un palato potente, succoso, avvolgente e profondo.
(Fabio Turchetti)
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