Vento. Tanto vento. Tutto l'anno, senza sosta. E caldo: siamo più vicino alla Tunisia che alla Sicilia. E mare, quello inesorabile che accerchia un'isola: che la forgia e ne detta i tempi. Ulivi, capperi e uva: prima da tavola, poi passa, infine vino. Passito. Di Pantelleria. Quello che si trova in tutto il mondo, famosissimo e dolcissimo. Si ricava dallo Zibibbo che cresce in una situazione pedo-climatica talmente estrema da diventare “Patrimonio Orale e Immateriale Unesco dell'Umanità” (prima pratica agricola nel mondo ad ottenerlo). Perché da tutto quel vento ci si deve riparare, quindi si scavano buche nel suolo vulcanico e ci si pianta la vite, che a quel punto ha solo i tralci a sbucare da terra. Le buche poi fungono anche da effetto serra per le radici anticipando il germogliamento e fanno da composter, grazie alle foglie secche che via via convogliano lì e fertilizzano il terreno. Di produttori sull'isola ce ne sono oltre 300. Questo lo fa Ferrandes: famiglia di origini spagnole, stanziali sull'isola dal 1600, dedita all'agricoltura da sempre. Salvatore inizia a vinificare negli anni 80 e prova e sbaglia e prova e sbaglia, fino ad affinare alla perfezione il suo metodo (naturale) per ottenere un passito maturo: mandorla, fichi, miele di castagno, caramello, arancia candita, erbe officinali, china, alloro, cacao. Menta su tutto. Una complessità magnetica di cui la bocca è un continuo rimando, aspro e vellutato. Pura lussuria.
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