Per muoversi a dovere nel cosmo Champagne è buona regola non confonderne l’immagine stereotipa con stile e terroir. Più che mai se ci si confronta con vini targati Aube: in questa zona speciale schemi e regole cambiano, come palato e sensazioni, quando chi produce intende tradurre fedelmente il territorio. Nel caso dei Breton siamo nel comune di Courteron, con solo 8 ettari vinificati. Pochi - penseranno i più - se paragonati ai big della denominazione. Ma in questa estrema (e meno “sfruttata”) porzione sud della Champagne le vigne in compenso godono d’un mesoclima e un suolo (c’è calcare kimmeridgiano e marna franco-argillosa tipica della Côte de Bar) davvero unico. Ecco perché anche un presunto “base” qui può rivelarsi poi di spiazzante qualità. Come, per l’appunto questo “Tradition”, mai angoloso o irregolare nella progressione, equilibrato nella pur sensibile potenza. Qui non è l’aspetto minerale - tattile o salino - a colpire per primo: ma un’identità - iniziata a strutturarsi dal 1945, anno di nascita della casa - costruita attraverso uno Chardonnay più disteso e succoso che altrove, mentre il partner Pinot Noir recita da primattore della cuvée, siglandone acidità, aromi di arancia rossa, e note più salmastre che emergono dopo un po’ di respiro nel calice. Con una freschezza costante a percorrere come un’eco l’assaggio, e che ne resta alla fine la marca distintiva e memorabile.
(Antonio Paolini)
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