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VINO GREEN

Sostenibilità ambientale: la filiera del vino verso una certificazione unica

Dalla Milano Wine Week il mondo enoico traccia la strada per un protocollo unico che armonizzi i sistemi esistenti

L’Italia del vino, quando si parla di sostenibilità, in vigna come in cantina, è assolutamente all’avanguardia, ma non esiste ancora uno standard unico riconosciuto in primis dal Ministero delle Politiche Agricole, che stabilisca regole certe e condivise. La buona notizia, in questo senso, è che arriverà entro “la prossima campagna”, come ha annunciato oggi lo stesso Ministero dal convegno organizzato da Equalitas alla Milano Wine Week. Definire regole minime comuni perché un vino possa essere certificato come sostenibile è diventato infatti indispensabile per non svuotare di senso il concetto di sostenibilità, abusato e spesso utilizzato a sproposito, e la mancanza di queste regole sta rallentando il percorso delle aziende e del mercato verso la sostenibilità, e non ha certo aiutato, in questo percorso, il sistema organizzativo nazionale, che dà un ruolo chiave alle Regioni, creando dissonanze territoriali. Tuttavia, lavorando al tavolo di filiera ristretto, a cui partecipano il Ministero delle Politiche Agricole, il Ministero dell’Ambiente, Federdoc e Unione Italiana Vini, il mondo del vino avrà presto un protocollo unico, integrando e armonizzando tre macrosistemi già esistenti. Ossia il Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata (Sqnpi), il marchio trasversale per tutti i prodotti agricoli del Ministero nato nel 2018, Viva, che è il protocollo del Ministero dell’Ambiente, e lo stesso Equalitas, lo standard certificato da un ente terzo che ha come capofila Federdoc ed Unione Italiana Vini, e che si basa sui tre pilastri della sostenibilità: ambientale, sociale ed economico.

Elevate sono le aspettative del settore che lamenta un forte rallentamento, specie negli ultimi 5 anni, del percorso verso lo standard unico. “Noi crediamo - ha sottolineato Riccardo Ricci Curbastro, presidente Federdoc - sia assolutamente urgente arrivare alla definizione di uno standard nazionale di sostenibilità: le aziende hanno bisogno che la politica definisca una cornice in cui possano muoversi in un mercato che sta andando in quella direzione. Senza questo riconoscimento non si ha accesso ai fondi europei. Le notizie di questi giorni e lo stesso intervento odierno di Giuseppe Blasi sono positivi e speriamo che i tempi siano realmente quelli annunciati”.

“Equalitas è un progetto nato dal basso, da un’esigenza dei produttori stessi - ha precisato Stefano Zanette, in veste di presidente dello standard di sostenibilità - anche per rispondere a una comunità sempre più sensibile a questo tema. Attendiamo risposte veloci, ma anche realizzabili perché la viticoltura è complessa e differente nei diversi territori. Ritengo che la frontiera della sostenibilità sia l’azione territoriale, molto efficace anche dal punto di vista della comunicazione, come stiamo facendo nel Prosecco Doc”.

Sostenibilità territoriale sì, ma senza imposizioni. “A livello di denominazione - ha precisato, a questo proposito, Riccardo Ricci Curbastro - non è pensabile limitare le scelte che afferiscono alla libertà di impresa, mentre è importante che le denominazioni facciano quella attività di cultura e convincimento che è dietro ai comportamenti virtuosi, altrimenti continuiamo ad imporre le cose e non arrivare a una partecipazione fattiva. E questo vale non solo per il sostenibile”.

“Lo standard del Ministero delle Politiche Agricole che individuerà una soglia minima di accesso per la certificazione di sostenibilità - ha commentato Michele Manelli di Salcheto, azienda del Nobile di Montepulciano, pioniera nel perseguimento della sostenibilità - permetterà a tanti di accedere, non produrrà virtuosismi, ma va bene così. Si creerà una situazione che possiamo paragonare alla piramide qualitativa dei vini in cui man mano che si sale si passa dalle Igt alle Docg. In questo quadro Equalitas, e gli altri marchi che potranno nascere, si collocherà nell’eccellenza e vigilerà perché lo standard unico dia garanzie. Per rimanere nel paragone, che anche l’Igt sia fatta con crismi precisi. Si può supporre che Viva, il protocollo sperimentale che prevede un report di parte terza, ma non è una certificazione, confluisca nello standard unico. Ciò che è importante è che per tutte le certificazioni i criteri siano comuni, cioè fondati sulla sostenibilità declinata su più pilastri, la trasparenza, la verifica da parte di una parte terza e requisiti minimi sulle pratiche virtuose. Così anche il linguaggio sarà comune. Il riconoscimento dello standard di sostenibilità del Ministero per le Politiche Agricole consentirà l’accesso alle premialità ai produttori e ai consumatori di avere maggiori garanzie”.

Nel frattempo, nei lunghi anni in cui molti esperti, agronomi e tecnici hanno cominciato a praticare la sostenibilità, e a mettere a punto i protocolli per misurarla, il mercato si è mosso. Per la verità non tanto quanto ci si potrebbe aspettare visto l’uso ormai comune e ricorrente del termine “sostenibilità” nel settore vitivinicolo e non solo. “I millenniall sono i più attenti alla sostenibilità - racconta Lorenzo Zanni, del Comitato scientifico di Equalitas, in base ad indagini svolte dal suo gruppo di ricerca dell’Università di Siena e da altre istituzioni internazionali - ma non riescono a raccapezzarsi tra i simboli riportati sulle etichette. Hanno la percezione che sia difficile trovare questi vini. Peraltro solo recentemente i social media hanno cominciato ad avere un ruolo nello spingere la sostenibilità. I consumatori con più anni sulle spalle sono sicuramente disposti a spendere di più per questi vini”. “Negli Stati Uniti - racconta Mike Veseth dell’Università di Tacoma-Washington, editore di The Wine Economist a proposito della ricettività dei vini “sostenibili” nel mercato del vino più importante del mondo - non è chiaro se il bicchiere sia da vedere mezzo pieno o mezzo vuoto. I dati Nielsen relativi alla distribuzione fuori dai ristoranti, indica una crescita del fatturato pari al 2,1% e dell’8,1% in volume, più delle bollicine rosé. Altri studi segnalano la disponibilità dei consumatori informati di pagare anche fino a 3 dollari a bottiglia in più su un prezzo medio di 20 dollari. Tuttavia il segmento non è regolamentato, i consumatori sono confusi da etichette non chiare e, soprattutto, la loro è solo una intenzione. Una intenzione non confermata dai viticoltori che non vedono aumentare di conseguenza il valore delle uve se non per un decimo della crescita attesa. Insomma c’è un mercato, ma è da verificare cosa accadrà perché a spingerlo più che la domanda è l’offerta”.

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