Il Barbaresco ha sempre vissuto all’ombra del Barolo nonostante l’instancabile lavoro di Domizio Cavazza al volgere del secolo, la fondazione della cantina cooperativa, i grandi vini fatti da Gaja e Giacosa poco dopo la Seconda Guerra mondiale e la rifondazione della cantina sociale da parte del prelato Don Cogno. Un grande Nebbiolo, senz’altro, ma forse un po’ meno autorevole e lungo del vicino al sud di Alba, e persino la valutazione attuale di Asili, Montestefano e Santo Stefano di Neive non hanno alterato il giudizio (sebbene un ettaro di Asili ora valga più di un milione). Su questa vigna, comunque, le idee sono chiare: vigneto splendido, Barbaresco femminile in contrasto con il potente Montestefano, profumo, classe, razza, finezza e comunque una spina dorsale che nessuno contesta. Tanto meno Giulio Grasso, la cui famiglia è presente sul luogo dal 1870. Quattro generazioni sono una bella prova e Asili è semplice il punto di diamante di una casa con 25 ettari di uva, una dozzina di proposte e quattro Barbaresco da proporre al mercato; c’è ne sono altri tre benché l’Asili troneggi su tutti. Vinificazione e affinamento tradizionale-moderni: 60 giorni sulle bucce, 24 quattro mesi in botti grandi e tonneau francesi, spezie, liquirizia e goudron, ricca stoffa ma eccelsa raffinatezza, il classico guanto di velluto in pugno di acciaio. Vino inarrivabile come il prezzo delle viti.
(Daniel Thomases)
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