Alfieri coerenti e discreti di bio e biodinamica, autori di bottiglie di vaglia (inserite a puntino nel concerto sempre più intonato della produzione trentina) e tra i capofila riconosciuti per quanto riguarda la gloriosa nicchia locale della produzione di Vino Santo (i loro esemplari “anziani” sono parametro ineludibile di eccellenza per l’intera tipologia), ecco ora i fratelli Pisoni puntare, con il consueto impegno e consumata abilità, su un altro fronte di scommessa. Il focus, stavolta “en rouge”, è il Rebo: varietà figlia della creatività anticipatrice (il parto risale agli anni Cinquanta) del ricercatore Rebo Rigotti (ecco l’origine del nome, che ricorda chi ne è stato il creatore) e ottenuta per incrocio del Teroldego, “enfant du pays”, col trasversale e internazionale Merlot. Il gioco (condiviso dai Pisoni con un manipolo di colleghi della Valle dei Laghi e funzionale all’intento di “spingere” tutti insieme il Rebo, patrimonio pressoché esclusivo dell’area) è lavorarlo come si farebbe in Valpolicella con le uve da Amarone: appassimento dunque, con lunga sosta successiva sulle bucce e legno nobile per tre anni. L’esito è un vino importante ma senza aggravi di peso o nuance stonate. Suadente, morbido ma armonioso nella trama, il Reboro si propone come compagno di larghe spalle a tavola per piatti adeguati e intensi, ma anche come calice di garantito piacere per una beva edonista e sensuale.
(Antonio Paolini)
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