Risulta pressoché doveroso, di tanto in tanto, ricordare i maestri che un giorno hanno saputo rinnovare il verbo del Soave: capendo allora, come pochi, che quelle terre e quelle uve avrebbero meritato una destinazione enoica più compiuta, rispetto alle tante banalità che circolavano con tale nome un po’ per tutto il globo terracqueo. Le figure che hanno fatto la storia moderna della denominazione (qualcuno fra questi, purtroppo, non c’è più) hanno poi fatto da apripista, come accade ai pionieri più lungimiranti, a quei giovani con l’occhio lungo e con il naso capace di cogliere i refoli del vento nuovo che iniziava a soffiare. Fra cui Stefano Inama: nel suo caso specificamente da quando, correva il 1991, arrivò il suo primo personale imbottigliamento, una volta presa in mano l’azienda di famiglia dalle mani del nonno Giuseppe. Visione consona ai tempi e obiettivi delineati: questi i suoi capisaldi, che oggi investono anche Matteo, Alessio e Luca, i suoi eredi, dall’alto del suggestivo colpo d’occhio che muove da Foscarino a Carbonare, per citare un paio dei cru aziendali più rappresentativi. Credette molto, però, il nostro Stefano, anche nel Sauvignon: e questo 2016 corrisponde proprio alle loro nozze d’argento, da quel ’91 di cui sopra. Ecco quindi spezie, sambuco, frutta tropicale ed erbe aromatiche ad aprir la strada, come sempre, ad un sorso appagante, polputo e persistente.
(Fabio Turchetti)
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