Che storia pazzesca c'è dietro il Miniere di Angelo Muto, il viticoltore irpino che vive e lavora a Tufo. Ha scelto di occuparsi di questa sola Docg campana con pochi ettari di vigneto che segue personalmente, con l'aiuto del giovane enologo Luigi Sarno, premio Gambelli qualche anno fa. In quella parola, Tufo, non c'è solo la mineralità di un vino, ma c'è il racconto di una famiglia e di un territorio che, prima del vino, conobbe altre fortune. Questa infatti era zona di estrazione di zolfo e le aziende minerarie, a fine '800, qui proliferavano in modo importante, dando tranquillità economica a molte famiglie. Tra queste c'era quella dei Muto, il nonno e la nonna lavoravano in miniera, il primo scavando, la seconda portando i candelotti di esplosivo. A metà anni '90 Angelo decide di comprare dai Di Marzo (i proprietari della miniera, nonché famosi produttori di vino) proprio quei tre ettari che si estendono tra la vecchia polveriera e l'ingresso della miniera. Per capire al meglio questo Greco di Tufo bisognerebbe vedere i luoghi dove nasce: sotto pochi centimetri di terra, lo strato è giallo fosforescente; tra i filari, circondati dai boschi, affiorano sassi gialli e gesso; l'odore sulfureo è netto. Così è il vino, quasi spregiudicato nella sua vena mineraria più che minerale, salata, zolfata; una bocca lunghissima e tesa che trova morbidezza nel richiamo alla ginestra. Bello da bere adesso, stuzzicante da aspettare.
(Francesca Ciancio)
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