A cercar di individuare nitidamente quella linea di confine che divide la follia dalla saggezza più illuminata, almeno nei casi in cui la prima è bonariamente intesa, si rischia paradossalmente di diventare pazzi per primi: meglio quindi non provare assolutamente a definire in alcun modo, pur se con affetto, il lavoro che dal 2009 vede protagonista Martin Gojer in quello che è sempre stato il maso di famiglia, nella bolzanina Campegno. Ne ha prese le redini dopo aver vissuto alcune esperienze professionali presso altre cantine, per chiudere quindi il cerchio a casa propria puntando ad un approccio alla materia decisamente personale, fuori da qualsivoglia schema stereotipato ma rigoroso e rispettoso della materia prima: senza certificazioni ufficiali di sorta ma con procedure biologiche e biodinamiche (a cui però, va precisato, fa soprattutto capo quel personalissimo mix di saggezza e follia prima citato) che vivono ormai di una riduzione decisa di sostanze non direttamente connaturate alla vite, quale ad esempio il rame, e di una cura dei vigneti e dei terreni che si riveli la più naturale possibile nei confronti della biodiversità. Uve bianche, poi Lagrein ma soprattutto Schiava a far da protagoniste: in vini strutturati o in prodotti da scolarsi a catinelle, come questo rosso dichiaratosi già dal nome. Frutti di bosco, spezie e sapidità, ma soprattutto una beva inarrestabile.
(Fabio Turchetti)
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