Con il mondo ancora in piena pandemia, con tutto quello che ne consegue, l’Italia guarda con preoccupazione alla Gran Bretagna, che, per l’export agroalimentare, è il quarto mercato di riferimento, e il terzo per il vino italiano. E, a far più paura, non è solo l’effetto covid (con il lockdown che il Governo di Boris Johnson, dopo un’atteggiamento iniziale a dir poco spavaldo, ha stabilito almeno fino al 1 giugno), ma anche la Brexit, argomento rimasto sospeso per l’emergenza Coronavirus. Che ora torna a farsi spazio della cronaca, con una possibilità di “no deal” con l’Ue più concreta che mai. Lo ricorda, con uno studio di Nomisma WineMonitor, che ha indagato i comportamenti in tema di consumi di vino di un mercato, quello Uk, che vale 3,4 miliardi di euro per l’export di prodotti agroalimentari, di cui 770 legati al vino.
Ebbene, secondo le indicazioni emerse dall’indagine (su un campione di 1.000 consumatori di vino della Gran Bretagna, in particolare residenti a Londra e nelle grandi città del Regno con oltre 500.000 abitanti), si registrano dinamiche simili a quelli degli altri Paesi, con e-commerce e gdo in crescita, a dispetto di un’Horeca sostanzialmente ferma. Ma in questo quadro, 3 consumatori britannici su 10 hanno dichiarato di aver consumato meno vino italiano rispetto al periodo di pre-quarantena, contro un 53% che non ha modificato le proprie preferenze di acquisto. Tra i principali motivi di questa riduzione figura la chiusura dei ristoranti, in un paese dove il fuori-casa pesa per il 45% del valore totale dei consumi alimentari (in Italia l’incidenza è del 35%).
“Va subito detto che i trend che stanno caratterizzando, o hanno caratterizzato, a seconda del fatto che la quarantena sia finita o meno, i consumi di vino nel periodo suddetto e nei diversi mercati mondiali, sono generalmente contraddistinti da uno spostamento verso tipologie di vini più “economici”, spiega Nomisma.
La chiusura dei ristoranti, dei pub e dei wine bar, la crescita dei consumi a livello quotidiano e non più occasionale, la riduzione della frequenza di acquisto presso negozi e Gdo (per evitare troppi contatti con altre persone) e, ovviamente, i vincoli di bilancio familiare sempre più stringenti, rappresentano i principali motivi alla base di tale riposizionamento dei consumi verso il basso. Una tendenza che ha interessato l’Italia, gli Stati Uniti ed anche il Regno Unito.
“Uno dei principali fattori di scelta nel consumo di vino che resta, ed anzi acquisisce ancora più importanza per il consumatore britannico durante il lockdown è proprio il prezzo, accanto alla reperibilità di informazioni sul web, così come emerso dalla nostra indagine. E in effetti, un consumatore inglese su due ha dichiarato di aver acquistato vino on-line durante il periodo di quarantena”, evidenzia Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma.
E il futuro non sembra particolarmente roseo, neanche dopo il lockdown: “solamente il 18% dei consumatori si dice pronto a spendere di più per il vino una volta che riapriranno pub e ristoranti contro un 17% che afferma il contrario, e un altro 28% che addirittura berrà meno vino perché uscirà di casa con meno frequenza rispetto a quanto faceva prima dell’epidemia”, aggiunge Pantini.
A quanto pare, la multicanalità diventerà quindi una strada obbligata nelle strategie commerciali dei produttori di made in Italy alimentare, vista l’eredità che sembra lasciarci il coronavirus in tema di comportamenti di acquisto di wine&food. E probabilmente, non sarà nemmeno l’unica sfida. Non va, infatti, dimenticato come il Regno Unito, dal febbraio 2020, sia diventato uno “Stato Terzo” rispetto all’Unione Europea con la previsione di un regime transitorio fino al 31 dicembre 2020, nel quale vige ancora l’unione doganale e soprattutto, si stanno negoziando le condizioni per un futuro partenariato, a partire dal 2021.
Purtroppo i primi segnali che arrivano dai tavoli di negoziazione non sembrano andare nella direzione di un raggiungimento dell’accordo. “Quasi si percepisce la sensazione del governo britannico di voler ripartire da zero, sfruttando gli impatti derivanti dalla pandemia per riprogrammare l’intera politica economica e commerciale del paese, con tutti i rischi però connessi”, dichiara Paolo De Castro, membro dello Uk Monitoring Group del Parlamento Europeo e componente del Comitato Scientifico di Nomisma.
Rischi che in primis riguardano sicuramente lo stesso Regno Unito, dato che l’autosufficienza alimentare del Paese è appena pari al 50%. Ma che interessano anche le imprese alimentari italiane, alla luce di quanto descritto sopra sulla rilevanza che la Gran Bretagna detiene per il nostro export.
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