Il nome deriva da uno scritto del 1550 di Leandro Alberti, che lo cita come antica label delle terre poi divenute Monferrato. L’uva invece, prima di chiamarsi Grignolino, era nota come Barbesino e la sua storia scritta qui risale al 1250. Il perché del nome moderno si sa: spesso “verde” per raccolta precoce, famiglie a grappolo grande e alta resa preferite alle più qualitative, vinaccioli grossi e sovente acerbi, il vino faceva “grignare”: pungeva cioè papille e palato. Rivoltare fama e...frittata, riportando area e uva agli antichi fasti e alla miglior interpretazione è il compito prefissosi con passione e visione profonda da un noto avvocato penalista, già però - per trascorsi familiari e scelte proprie - coinvolto nel mondo enoico in Abruzzo, Lucchesia e infine (un ritorno a casa in area già di proprietà materna) nel Monferrato/Monferace. Dove la sua azienda cammeo affidata alla direzione di Luciana Biondo (trascorsi felici da Valle Reale in poi) è divenuta motore d’una squadra di piccoli produttori legati da un disciplinare severo che prevede Grignolino 100% da cru iscritti ad apposito albo, rese limitate e 40 mesi di elevazione, di cui 24 in legno. Il risultato? Il Monferace 2016 (60 mesi di affinamento tra botte e vetro) regala note floreali degne del classico Piemonte “en rouge”, spezie esotiche e frutto, e ha bocca fine, misurata e senza cedimenti. E strada lunga davanti.
(Antonio Paolini)
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