Gli effetti della Brexit si vedranno solo a lungo termine, ma dal mercato britannico, dopo la corsa alle scorte di vino italiano degli ultimi mesi del 2020, anno chiuso con un calo del -6,3%, a quota 714 milioni di euro, arrivano segnali poco confortanti, per quanto attesi. Nei primi due mesi del 2021, come raccontano i dati Istat analizzati da WineNews, si è registrato un calo delle spedizioni del 27,7% (il dato peggiore tra i mercati principali), passate da 85,6 a 62 milioni di euro. Nel frattempo, il regime di circolazione dei prodotti dall’Europa al Regno Unito e viceversa è divenuto rispettivamente esportazione e importazione, subendo il conseguente rallentamento dei relativi sistemi logistici. Come racconta l’analisi di Withers Studio Legale “Effetto Brexit sull’Italia vitivinicola. Accordi commerciali e prassi da rivedere nel nuovo scenario”, firmato dall’avvocato Luca Ferrari e dalla dottoressa Laura Carrara, il panorama che si staglia all’orizzonte è estremamente complesso e non privo di zone d’ombra. Intanto, chi vorrà esportare il proprio vino Oltremanica dovrà fare l’identificazione fiscale presso l’Agenzia dell’Entrate britannica e la registrazione Iva, oltre che provvedere alla richiesta di un codice alfanumerico Eori. Di buono c’è che sarà garantito per i prodotti made in Italy - vino compreso - un trattamento tariffario preferenziale mediante il divieto di applicazione di dazi nei confronti dei prodotti “originari”, ma dal gennaio 2022 il vino europeo, compreso quello Bio, dovrà essere sottoposto a certificato di importazione, meglio noto come modello VI-1, a test di laboratorio svolti in base ai metodi dell’Oiv. Inoltre, dal 30 settembre 2022 cambiare anche l’etichettatura dei vini: sarà previsto l’obbligo di indicazione del nome e indirizzo dell’importatore o imbottigliatore che opera nel Regno Unito. Infine, va ricordato che i produttori che abbiano presentato domanda di riconoscimento di una Ig in sede europea dopo il 31 dicembre 2020 non avranno alcuna protezione in Uk.
Alla luce dei recenti slittamenti temporali di diverse applicazioni normative e degli effetti distorsivi legati all’attuale crisi economico-sanitaria, un’attenzione particolare dovrà essere posta all’evoluzione delle trattative sulla revisione degli accordi raggiunti con il Regno Unito. Come dichiarato dall’ambasciatrice britannica in Italia, Jill Morris, è in corso una dialettica su più fronti con l’Italia volta alla conclusione di un Accordo Bilaterale di Cooperazione tra l’Italia e il Regno Unito entro la fine di quest’anno. Nel frattempo, dalla fine del periodo di transizione, il regime di circolazione dei prodotti dall’Europa al Regno Unito e viceversa è divenuto rispettivamente esportazione e importazione, subendo il conseguente rallentamento dei relativi sistemi logistici. Gli esportatori italiani interessati al commercio extra Ue, tra i molteplici oneri introdotti, devono effettuare l’identificazione fiscale presso l’Agenzia dell’Entrate britannica e la registrazione Iva, oltre che provvedere alla richiesta di un codice alfanumerico Eori. In particolare anche la sola mancanza del codice Eori potrebbe comportare importanti perdite economiche all’imprenditore negligente, in quanto vi è il rischio di un blocco della merce, una multa e/o il sequestro dell’intero carico.
Tra le macchinose procedure che si susseguono nel passaggio doganale è, tuttavia, garantito per i prodotti made in Italy un trattamento tariffario preferenziale mediante il divieto di applicazione di dazi nei confronti dei prodotti “originari”. L’esportatore italiano che vorrà usufruire di questa agevolazione dovrà proporre richiesta all’importatore e, sotto propria responsabilità, rilasciare un’attestazione in cui dichiara che il prodotto sia “originario”. Tale dichiarazione potrà essere allegata in fattura da parte degli iscritti alla banca dati Rex-Register Exporter System. In alternativa all’attestazione potrà presentarsi richiesta di adesione al regime tariffario preferenziale “sulla base della conoscenza del carattere originario del prodotto da parte dell’importatore”. I beni che non soddisfano il requisito dell’origine doganale, invece, saranno soggetti ai pagamenti tariffari stabiliti attraverso gli standard “Most Favoured Nation” intervenuti tra Ue e Uk.
Dal gennaio 2022 il vino europeo, compreso quello Bio, dovrà essere sottoposto a certificato di importazione, meglio noto come modello VI-1, a test di laboratorio svolti in base ai metodi dell’Oiv - International Organisation of Vine & Wine e ad altri aggravi burocratici. L’attuale legislazione europea in materia Bio verrà riconosciuta in termini di equivalenza fino al dicembre 2023 con l’eccezione, dal 1 gennaio 2022, della richiesta ai produttori biologici europei di presentazione di un certificato di ispezione (Certificate Of Inspection). Il nuovo quadro normativo in tema di informazioni, dal 30 settembre 2022, comporterà per i produttori importanti adattamenti. Da tale data, infatti, l’etichettatura dei vini dovrà essere modificata in quanto sarà previsto l’obbligo di indicazione del nome e indirizzo dell’importatore o imbottigliatore che opera nel Regno Unito, analogamente a quanto avviene nel mercato degli Usa. Tra le informazioni obbligatorie si segnalano l’indicazione del lotto del prodotto in modo “facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile” e l’indicazione degli allergeni con la dicitura “contains”. Nell’individuazione degli allergeni sarà però possibile omettere quelli utilizzati nella produzione del vino ma non presenti nel prodotto finito.
L’accordo Brexit riserva a titolo di facoltativo ad entrambe parti la possibilità di richiesta all’operatore di indicare una data di durata minima sui prodotti che, a causa dell’aggiunta di ingredienti deperibili potrebbero avere un termine minimo di conservazione più breve di quello normalmente atteso dal consumatore. Si inserisce tra le indicazioni facoltative il pittogramma dedicato al divieto di bere rivolto alle donne in gravidanza che potrà essere sostituito anche con la seguente dicitura “È più sicuro non bere alcolici durante la gravidanza”. È parimenti consigliata, e dunque non obbligatoria, l’adozione di formule che scoraggino il consumo irresponsabile o il consumo di alcol da parte di minorenni.
In ragione dei sopra riportati cambiamenti nel regime di etichettatura, le imprese sono chiamate a valutare sin da ora come meglio implementare l’assetto informativo per i prodotti destinati a questo “nuovo” mercato extra-UE. Al fine di ammortizzare eventuali costi di rietichettatura dei prodotti, gli operatori, prima dell’immissione in commercio sul territorio inglese, potranno usufruire della possibilità di apposizione delle nuove indicazioni obbligatorie attraverso etichettatura supplementare apposta al contenitore del vino.
Gli effetti dell’uscita del Regno Unito coinvolgono anche le Indicazioni Geografiche (Dop, Igp e Stg). I produttori che abbiano presentato domanda di riconoscimento di una IG in sede europea dopo il 31 dicembre 2020 non avranno alcuna protezione in Uk. Di conseguenza, gli operatori interessati dovranno presentare autonoma domanda di protezione nazionale nel Regno Unito. In questo caso andranno soppesati pro e contro della richiesta di registrazione di una IG anche nel regime britannico, in funzione della maggiore garanzia di tutela che questa comporta. Infine, i simboli tradizionali europei registrati in data antecedente al dicembre 2020 potranno continuare a essere utilizzati anche in Uk, ma dal 1 gennaio 2024 tali simboli dovranno essere accompagnati dai nuovi riconoscimenti nazionali del Regno Unito.
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