Qualcosa, in Cina, si è inceppato. L’economia ha smesso di correre da tempo, e le incognite, tra presente e futuro, sono molte. Da un lato la lotta al Covid, cui Pechino ha deciso di non fare sconti, dall’altro le tensioni con Usa ed Europa sul fronte Taiwan, all’orizzonte il XX Congresso del Partito Comunista, che il 16 ottobre dovrebbe confermare, per la terza volta, Xi Jinping al comando del Paese. Nel frattempo, a soffrire sono i consumi interni, compresi ovviamente quelli di vino che, come raccontano i dati del WineMonitor di Nomisma, curato da Denis Pantini, registrano l’ennesimo calo delle importazioni. Nei primi sette mesi 2022, infatti, la Cina ha acquistato dall’estero poco più di 2,1 milioni di ettolitri di vino, il 19% in meno, in quantità, dello stesso periodo del 2021, e quasi la metà (-49%) del 2018, anno record per le importazioni enoiche cinesi.
Da allora, il calo è stato costante, con l’eccezione del 2021, quando il rimbalzo sul 2020 fece sperare in un pronto recupero del mercato del Dragone. Speranze presto frustrate dai continui lockdown, che hanno paralizzato - e continuano a paralizzare - città di decine di milioni di persone per settimane, ma anche dalla crisi politica con Canberra, che ha portato all’azzeramento delle importazioni di vino dall’Australia e, come ricordato, dalle tensioni internazionali diventate sempre più evidenti con l’invasione russa in Ucraina.
Un quadro a dir poco complesso, nel quale le esportazioni dei vini italiani verso la Cina segnano un crollo, a volume, del 32% sul 2018. Ancora peggio fanno i vini francesi (-59%), con i cileni - che hanno ormai sostituito la fetta di mercato degli australiani - che perdono il 10% sul 2018, anche grazie ad un accordo di libero scambio tra Santiago del Cile e Pechino stretto nel 2006 (come scrivevamo qualche anno fa) che ha permesso ai vini cileni di crescere - sempre a volume - del 3% sui primi sette mesi 2021. In territorio positivo anche la Nuova Zelanda, tra i principali esportatori di vino in Cina, anch’essa a dazi zero.
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