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CAPITALISMO UMANISTICO

Brunello Cucinelli, a WineNews, tra vino e moda, equilibrio tra dono e profitto, ed i giovani

“A tu per tu” con il carismatico stilista. “Non c’è una sostenibilità, ma tante: del clima, economica, culturale, spirituale, morale e per la Terra”

“Sono felice che da Presidente del Consiglio Mario Draghi mi abbia chiesto di fare una testimonianza insieme all’allora Principe Carlo (con il Discorso ai grandi della Terra in occasione del G20 in Italia nel 2021, ndr). Il nuovo Re d’Inghilterra parlava della sostenibilità climatica, io dell’“Umana sostenibilità” e del “Capitalismo Umanistico”. Perché penso che c’è una sostenibilità del clima, una economica, che riguarda quanto guadagni e dove lavori, una culturale, ovvero quello che fa un’impresa per la cultura del suo territorio e della sua gente, e una spirituale, perché se lavori in un luogo migliore dove ti trattano bene, anche il tuo spirito sta meglio. Ma c’è anche una sostenibilità morale, che ti fa pagare le giuste tasse e collaborare con il tuo Stato per la sua crescita. E poi c’è la sostenibilità di come ci comportiamo con la Terra. Il mio babbo diceva: ricordati che la terra non si mette a due piani”. Raggiungere l’equilibrio tra profitto e dono, verso le persone, le comunità, i territori, l’ambiente, e di come questo sia sempre più necessario per le imprese della moda come del vino, è uno dei principi alla base della storia personale e professionale di Brunello Cucinelli, come racconta “a tu per tu” con WineNews, uno degli imprenditori italiani tra i più illuminati e autorevoli, conversando dell’amore per la terra e i suoi frutti, del mettere insieme tecnologia e Umanesimo, di quello che dobbiamo fare per i giovani e, ovviamente, del suo primo vino.
Che non poteva che nascere dai vigneti di Solomeo, dove è iniziata l’avventura imprenditoriale di Cucinelli e dove con la sua famiglia ha realizzato il suo sogno di un “Capitalismo Umanistico”, dopo averlo restaurato e fatto rinascere come “Borgo del Cashmere e dell’Armonia”, nell’Umbria terra di grandi vini ma anche di San Francesco che, figlio di ricchi mercanti di tessuti, fece della povertà, per scelta, uno dei suoi tratti fondanti, rappresentando una fonte d’ispirazione anche per la sua ascesa imprenditoriale. Un nuovo progetto, il cui futuro, immaginiamo, ha già chiaro in mente: “volevo rendere onore alla terra - spiega - vengo dalla cultura della terra e pensavo di fare prima l’olio e poi il vino. C’erano questi opifici industriali, li abbiamo abbattuti, e vi abbiamo fatto un Parco Agrario con vigneto e oliveto. Volevo dare dignità al mio paese perché, affacciandomi a guardarlo dopo un restauro di 30 anni, mi chiedevo ma chissà come sarebbero felici i miei figli se vi potessero vedere il campo da gioco, il Parco, i frutteti. In mezzo alla vigna, per esempio, abbiamo un filare di cachi e in questo periodo dell’anno vai lì a mangiarli, tutti rossi perché iniziano a perdere le foglie. Un’altra cosa bella è anche quando vendemmiamo e lasciamo ancora molti grappoli come facevano i nostri genitori quando eravamo contadini, perché così quando andavamo in mezzo a guardare i maiali e le pecore portavamo del pane e lo mangiavamo con l’uva passa, fino a dicembre. L’obiettivo, con il vino, era ridare dignità a tutto questo, alla terra da cui provengo e dalla quale “tutto proviene” come diceva Senofane, ma anche immaginare i miei figli e i miei nipoti a lavorare in questa valle con industria, i frutteti, il vigneto e l’uliveto, sperando di fare un vino e un olio buoni. Ma oggi vi si può anche passeggiare, perché è un Parco tutto aperto, circondato solo da siepi come un giardino, e puoi mangiare una ciliegia o un’albicocca”.
Solomeo che è il cuore della vita familiare, spirituale e imprenditoriale dello stilista fondatore dell’azienda che ne ha fatto il “re del cashmere” made in Italy. Quel made in Italy di cui il vino e la moda sono un simbolo, ma che, prima ancora, in comune, secondo Cucinelli, hanno il fatto di essere frutto di un popolo serio come quello italiano, i cui fondamenti sono la cultura e i manufatti di qualità, prodotti con umiltà, creatività e coraggio. “Sono sempre stato innamorato dai greci e della loro cultura immensa e affascinante. E dico sempre che ho condotto la mia impresa da italiano, ma pensando in greco. Greci che erano innamorati del vino, così come i romani, e questa è la nostra cultura. Sono sempre stato innamorato anche della tavola, mi hanno sempre insegnato che in cucina ci devono essere sempre tre sapori, rigatoni, pomodoro e mozzarella, e che ci deve essere sempre un vino buono, che è di grande compagnia e non solo nell’accompagnare i cibi. Noi ne facciamo poche bottiglie, non possiamo dire che è un’operazione economica-finanziaria, l’olio viene solo donato, e lo stesso faremo o quasi con il vino. Il progetto futuro è questo perché la vigna è tutta lì, con i suoi appena cinque ettari”.
Ma, prosegue l’imprenditore, prima “vivevamo in questo podere in collina, e per guadagnare 2-300 metri di terra disboscavamo con il piccone e il grano ci veniva alto 2 palmi. In certi momenti facevamo anche 6 quintali ad ettaro che era un bel raccolto. Oggi quando seminiamo lavoriamo le zolle con grossi trattori, ma il profumo della terra è sempre lo stesso. Così come tornando all’equilibrio tra profitto e dono, mio nonno e mio babbo donavano la prima balla del nostro grano alla comunità, e non l’ultima, anche se era l’unica cosa che all’epoca producevamo e ci serviva per vivere, 50-60 quintali in tutto perché il podere non era grande. Credo, allora, che dobbiamo tornare a riequilibrare il tutto, per un giusto profitto e una giusta crescita”.
Un messaggio rivolto soprattutto ai giovani, ai quali Cucinelli, con un concetto che rispecchia a pieno la nostra idea di impresa e di comunicazione in cui ci vogliono “scienza e anima”, spiega che dobbiamo trovare l’equilibro anche tra tecnologia e Umanesimo, per creare nuovi lavori. “Nei giorni scorsi è venuto da noi un team della “Salesforce” di Marc Benioff dalla Silicon Valley (con cui collabora per un digitale “garbato”, ndr), per parlare di tecnologia nei prossimi 20 anni. Sono dei grandi innovatori e ho detto loro che la loro tecnologia è meravigliosa, ma di metterci “Umanesimo”, perché credo che sia un dono del Creato, ma ci sta rubando l’anima. Sono venuti da noi proprio per creare programmi che ci diano anche un po’ più di umanità. Io dico ai miei di comprare la tecnologia più avanzata ma di farne un giusto uso, di lavorare le 8 ore e di andare a casa senza rimanere connessi perché abbiamo bisogno della nostra vita e di stare con i nostri figli. A Benioff dico sempre chi per primo darà alla tecnologia grande umanità, sarà il nuovo Leonardo dei nostri tempi”.
Rivolgendosi ai privati e alle istituzioni pubbliche, l’invito dello stilista è invece di tornare a investire come valore e fondamento della crescita, e di farlo insieme, credendo nell’arte di creare ma anche di restaurare, per la nostra anima e per produrre lavoro, per il futuro dei nostri territori e per mantenerli vivi. “Quella che indosso oggi è una giacca del 2016. Ho sempre pensato che volevo produrre capi chiaramente di qualità ed esclusivo, ma da lasciare come in eredità, tanto difficilmente butto ciò che indosso per me. Credo sia un grande momento per riparare, recuperare, riutilizzare, miscelare, e questo vale per l’uomo per ogni cosa. Dobbiamo partecipare a migliorare il mondo, la Terra e l’uomo. In azienda abbiamo da sempre un reparto dove tu ci mandi il pullover, e noi lo ripariamo, per utilizzare ciò che la Terra ci dà e non consumarla come ci ha insegnato Epicuro quando dice che l’essere umano ha due problemi: uno è il mal dell’anima che deve governare con la filosofia e due utilizzare ciò che la Terra ci dà”.
“Dobbiamo ripartire regalando bellezza”, sono, infine, le parole pronunciate da Brunello Cucinelli all’inizio della pandemia, quando è stato tra i primi a lanciare un messaggio di speranza per l’Italia. Lo abbiamo fatto? “Siamo stati forse uno dei Paesi che ha gestito meglio la pandemia - conclude - il nostro stato sociale oggi si vede nel non aver licenziato e avere tutte le parti produttive in pieno, con il Pil che cresce. Siamo sempre la settima potenza al mondo e siamo manifatturieri veri, abbiamo un solo grande tema: dobbiamo ridare dignità a morale ed economica a certi lavori, dobbiamo lavorare per costruire i nuovi artigiani contemporanei dei prossimi 30 anni. Significa luoghi di lavoro leggermente migliori, un salario leggermente migliore e un rapporto umano leggermente migliore. Ma noi abbiamo una posizione nel mondo speciale: nel nobile Rinascimento fiorentino eravamo considerati i mediatori culturali del mondo e io ho l’impressione che stiamo tornando ad esserlo. E dobbiamo produrre manufatti speciali perché siamo una nazione evoluta, però dovrebbe essere cose che lasci quasi in eredità. Personalmente non voglio comprare per consumare e non utilizzo questo termine: 40 anni fa non si parlare di consumatori, e consumare non è bello neanche per la ruota di una macchina. Io voglio essere un essere umano che utilizza ciò che la Terra ci dà, e renderle altrettanto. Siamo a novembre, e ricordo quando arrivava dicembre e si andavano a fare i conti con il padrone. Quando mio nonno e mio zio tornavano, non dicevano quando avevamo guadagnato ma se era stato un buon anno”.
“Ma vorrei dire un’ultima cosa - ci dice - siamo un Paese che ha la qualità, e una qualità umana diversa. Ai miei dico di fare un vino buono, secondo natura, facendo guadagnare il giusto ai ragazzi che lo fanno, e insegnando loro il mestiere. Ed ai cuochi dell’azienda dico di utilizzare i nostri prodotti per la mensa, attenendosi alla cucina italiana e umbra nel nostro casa. È una cultura che vorrei portare avanti”.

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