Il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84.000 euro, quattro volte più della media delle superfici agricole. Così l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, con una ricognizione sui valori dei 674.000 ettari del vigneto nazionale che, da Nord a Sud della Penisola, generano un’economia da oltre 30 miliardi di euro l’anno, e rappresentano al contempo uno degli investimenti più redditizi in assoluto sul piano fondiario. Con il mercato che risponde con un boom di transazioni, dettate in particolare da fondi e family office interessate soprattutto alle regioni a maggior vocazione enologica e di conseguenza a maggior tasso valoriale, come Alto Adige, Trentino, Veneto, Toscana e Piemonte.
Come emerge dall’osservatorio di WineNews (qui il nostro ultimo studio), i vigneti più cari d’Italia sono ancora quelli del Nebbiolo di Langa destinati alla produzione del Barolo, quotati, secondo i dati del Crea aggiornati al 2020, tra i 200.000 euro e 1 milione e mezzo di euro ad ettaro. Restando sulle quotazioni del Crea, il costo medio di un vigneto in Veneto è invece di 139.000 euro, con i picchi di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, in vendita, secondo le stime di WineNews, tra i 350.000 ed i 500.000 euro ad ettaro. Più basse le quotazioni della Valpolicella, che vanno dai 100.000 euro della pianura ai 180-200.000 euro ad ettaro della zona classica. In Toscana, invece, un ettaro vitato a Brunello di Montalcino costa tra i 250.000 ed i 700.000 euro, con punte decisamente più alte, capaci si superare anche i 2 milioni di euro. Quotazioni importanti anche a Bolgheri (tra i 750.000 euro ed il milione ad ettaro) e nel Chianti Classico, dove la forbice è tra i 90-150.000 euro ad ettaro della provincia di Siena ed i 110-160.000 euro ad ettaro della provincia di Firenze.
Tornando alle quotazioni dei filari italiani rilevate dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly su dati Crea, le più alte si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. Si va dai 300-500.000 euro a ettaro per la zona di produzione del Trentodoc, la Valpolicella, Bolgheri e la Franciacorta. Stime di poco inferiori per le aree del Prosecco Doc, del Lugana, del Chianti Classico e Montepulciano. Negli ultimi 15 anni, la grande maggioranza delle denominazioni ha incrementato le proprie punte di valore: si va da Montalcino (+63%) a Valdobbiadene (+16%), da areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna (+57%), ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%).
L’alto valore medio a ettaro (dato dalla presenza di ampi territori vocati a produzioni di successo, come Prosecco, Valpolicella, Lugana, Pinot Grigio, Val d’Adige) associato all’estensione del vigneto (100.000 ettari circa) pone il Veneto in testa alla classifica generale dei valori fondiari. Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, “il vigneto Italia è ormai un brand globale specie nei suoi territori più vocati, e questo è un elemento di forza a cui gli investitori non possono sottrarsi. Notiamo come in genere l’ingresso di fondi internazionali o di famiglie facoltose nelle aree simbolo della viticoltura italiana sia in primo luogo una questione di prestigio, poi certamente un bene rifugio o un elemento di diversificazione degli asset. Ma alla base c’è la consapevolezza di investire sul valore nel senso più etimologico del termine, più che di aderire a un progetto remunerativo nel breve-medio periodo con il solo valore della produzione. In Italia si assiste a questo - ha concluso Frescobaldi -, e non è un caso se Bernard Arnault, presidente del gruppo Lvmh, ha recentemente acquistato Casa degli Atellani di Milano, vigna di Leonardo compresa”.
Per l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese: “il vino italiano è un capitale strategico del Paese e Vinitaly lo ha ribadito con un rapporto realizzato dall’Osservatorio assieme a Prometeia con i nuovi numeri di una filiera da 31,5 miliardi di euro l’anno. Il settore, che vanta la miglior bilancia commerciale tra tutti i comparti del made in Italy tradizionale, ha una propensione all’export doppia rispetto all’agroalimentare e questo ha un peso anche sul valore fondiario di un prodotto sempre più globale, sempre più riconosciuto come bandiera dell’Italian style. Non è un caso se per il Cbre, leader mondiale nella consulenza nel settore real estate, il volume degli investimenti nel vigneto tricolore è segnalato in crescita in tripla cifra nell’ultimo biennio”.
Focus - Vigneto Italia, il presidio del paesaggio
Importante anche il ruolo sociale delle terre del vino. Secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, la viticoltura in Italia costituisce da sempre un baluardo a difesa del paesaggio: nonostante la crescita della viticoltura in pianura, tutt’oggi poco più della metà dei vigneti nazionali si colloca sopra i 300 metri di quota, con il 42% in collina (301-700 metri) e il 9% in montagna (sopra i 700 metri).
Montagna che in alcuni areali (Valle d’Aosta, Liguria) è il luogo di maggiore presenza della viticoltura con quote superiori al 60%, ma che raggiunge incidenze ragguardevoli (pari o superiori al 30%) anche in altre regioni, come Campania, Basilicata, Calabria, Molise e Piemonte. In totale sono 62.000 gli ettari vitati in montagna, dato destinato a crescere in futuro per via dell’innalzamento delle temperature medie.
Viticolture prevalentemente di collina (281.000 gli ettari complessivi) sono quelle abruzzese (96%), umbra (89%), marchigiana (85%) e toscana (81%), a cui si aggiungono le produzioni di alta collina in provincia di Bolzano (86%) e Trento (40%). Prevalenza di viticoltura pianeggiante in Veneto, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia e Friuli Venezia Giulia.
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