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ALLA CAMERA DEI DEPUTATI

“Il futuro del vino italiano dipende dalla capacità di fare squadra e di comunicare meglio”

Dal “Congresso Fisar”, il presidente Assoenologi Riccardo Cotarella. Michele Zanardo, presidente Comitato Vini: “valorizzare anche i territori minori”
ASSOENOLOGI, COMITATO NAZIONALE VINI, FISAR, MICHELE ZANARDO, RICCARDO COTARELLA, ROBERTO DONADINI, SOMMELIER, Italia
Il “Congresso Nazionale Fisar” 2025, alla Camera a Roma

“Il vino sta attraversando un momento delicato, di riflessione e di revisione, ma non di pericolo. Nella mia lunga carriera ho visto crisi anche più grandi di questa risolversi pienamente: il vino italiano ha sempre saputo rinascere, riconquistando il suo posto come prodotto simbolo dell’agroalimentare nazionale. Siamo i più grandi produttori al mondo e i più ricchi di biodiversità, territori e cultura, ma dobbiamo continuare a raccontarlo con forza, perché altrimenti rischiamo di essere superati da Paesi che non hanno la nostra storia né la nostra tradizione. Il futuro del vino italiano dipende dalla nostra capacità di fare squadra e di comunicare meglio ciò che siamo: un patrimonio unico, che rappresenta l’anima e la cultura del Paese”. Parole, di fiducia e di speranza, pronunciate da Riccardo Cotarella, enologo di fama internazionale, presidente Assoenologi, nel messaggio che ha aperto, nei giorni scorsi, il Congresso Nazionale Fisar 2025, alla Biblioteca della Camera dei Deputati, a Roma, con il convegno “Il vino come strumento di valorizzazione del made in Italy”, che ha riunito alcune tra le voci più autorevoli del panorama vitivinicolo italiano per discutere le sfide e le prospettive del settore, da Michele Zanardo, presidente Comitato Nazionale Vini Dop e Igp, a Roberto Donadini, presidente Nazionale Fisar, dallo chef stellato Davide Pulejo all’onorevole Giorgio Mulè, vice presidente Camera dei Deputati.
Il convegno, come è stato ricordato, arriva in un momento di particolare attenzione per il comparto vitivinicolo, influenzato dai nuovi dazi statunitensi e da un rallentamento temporaneo dell’export. Secondo i dati Ismea, gli importatori americani hanno anticipato le forniture nei primi mesi dell’anno, generando un effetto-scorta che ha alterato i flussi di vendita. Allo stesso tempo, il mercato intercomunitario rappresenta oggi circa il 40% delle esportazioni complessive, segno di una filiera che, pur tra luci e ombre, continua a dimostrare solidità. Non si delinea quindi, secondo la nota della Fisar, “uno scenario di crisi strutturale, ma piuttosto una fase di assestamento che richiede un riequilibrio e una comunicazione più chiara e responsabile, capace di valorizzare il ruolo strategico del vino per l’immagine e l’economia del Paese”. Quello che serve, per Roberto Donadini, è “di superare le ombre dei campanili: fare rete tra le associazioni di sommelier è oggi una necessità, non un’opzione. Solo collaborando tra realtà del servizio, della formazione e della produzione possiamo valorizzare insieme il nostro straordinario patrimonio vitivinicolo e affrontare con forza le sfide del futuro. È in questa connessione tra sala, cucina e territorio che il vino diventa cultura e strumento di crescita per l’Italia, e proprio per questo come Fisar lavoriamo ogni giorno per formare sommelier competenti e responsabili, capaci di promuovere un’educazione al vero e buon bere in collaborazione con istituzioni e associazioni del settore”.
Michele Zanardo ha ricordato che “oggi l’Italia conta circa 530 denominazioni di origine e Indicazioni geografiche, espressione di oltre 500 vitigni. Una ricchezza straordinaria, ma anche fragile: dieci denominazioni coprono il 50% del vino italiano esportato. È un dato che deve far riflettere: occorre lavorare insieme per valorizzare anche i territori minori e garantire una sostenibilità economica oltre che ambientale. L’Italia è stata tra i primi Paesi europei a dotarsi di una legge sulle denominazioni nel 1963: sessant’anni di storia che fanno del nostro modello un riferimento per l’Europa. Ma questa storia va rinnovata, perché il vino non è solo un prodotto economico, è una forma di civiltà”.
Per Davide Pulejo, infine, “le istituzioni dovrebbero valorizzare molto di più il fattore umano, non solo nel mondo del vino, ma in ogni ambito. È fondamentale educare i giovani, farli innamorare del proprio lavoro e permettere loro di portare questa passione nel mondo. Siamo ambasciatori del made in Italy attraverso il cibo e il vino, ed è da qui che deve ripartire la crescita del Paese”.

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