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Altro che fallimenti, sequestri e sabotaggi, l’Oltrepò Pavese ha un passato glorioso ed un futuro da costruire, sul Pinot Nero. A WineNews, Emanuele Bottiroli (Consorzio Oltrepò Pavese), Domenico Zonin (Tenuta il Bosco) e Ottavia Giorgi di Vistarino

Italia
I vigneti dell’Oltrepò Pavese

Dovessimo raccontare l’Oltrepò Pavese attraverso le pagine dei quotidiani degli ultimi mesi, il risultato sarebbe un ritratto aspro, duro, decisamente immeritato per un territorio che, in realtà, ha alle spalle una storia importante e gloriosa, che poggia su pilastri oggi indeboliti dalla cronaca, ma da cui deve necessariamente ripartire per tornare a guardare al futuro con fiducia. Tre nomi su tutti, meglio di qualsiasi altro, sono capaci di rappresentare plasticamente il momento del più importante territorio vitivinicolo lombardo: Conte Vistarino, La Versa e Cantina di Casteggio, in rigoroso ordine cronologico. È stato il Conte Carlo Giorgi di Vistarino a impiantare per primo il Pinot Nero, vitigno simbolo dell’Oltrepo Pavese, nel 1850, spumantizzandolo, per la prima volta in Italia, già nel 1865, con il Metodo Classico. Nel 1905, invece, nasce la cantina La Versa, che nel 1935 degorgia e commercializza le prime bottiglie di “Gran Spumante La Versa”, che diventa il primo spumante metodo classico millesimato d’Italia. Nel 1907, invece, nasce la Svic (Società Vinicola Casteggio), diventata poi Cantina di Casteggio, la cui storia è legata a doppio filo a quella dell’enologo Pietro Riccadonna, considerato uno dei padri della spumantizzazione moderna, oltre a grande uomo di marketing: è stato lui a coniare il celebre slogan “Che cos’è la vita se non spumeggia il vino?”, che ha accompagnato il successo dello spumante dell’Oltrepo nei primi del ‘900 in Italia e negli Stati Uniti.
Un secolo dopo, della ribalta di allora rimane ben poco. In effetti, dei tre, l’unico ad aver ripreso le fila del proprio passato, rilanciando, sembra essere Conte Vistarino, che intorno alla Rocca De’ Giorgi ha costruito una realtà solida, fatta di quasi 200 ettari vitati complessivi, di cui 140 di Pinot Nero, ma anche Riesling, Pinot Bianco, Bonarda, su una superficie aziendale complessiva di 870 ettari, da cui nascono etichette di rossi, bianchi e bollicine. Ma non è tanto per la ricerca della qualità che la Conte Vistarino ha “guadagnato” le pagine di quotidiani e magazine di settore, quanto per l’atto vandalico di cui è stata vittima poco più di un mese fa, quando qualcuno si è introdotto in cantina sversando parte dei vasi vinari dell’azienda di Ottavia Giorgi di Vistarino, disperdendo, così, oltre 5.000 ettolitri di vino dell’annata 2016, per un danno che supera i 500.000 euro. Uno sfregio vero e proprio, che non ha intaccato però la voglia di ricominciare della griffe lombarda.
Peggio è andata alla cantina sociale di Broni-Casteggio, Terre d’Oltrepo, coinvolta nella primavera 2015 in un maxi sequestro di 170.000 ettolitri di Pinot Grigio, una piccola parte di una frode ben più complessa, che avrebbe portato ad una frode di 20 milioni di euro. Gli indagati dalla Procura di Pavia, l’anno successivo, furono ben 297, di cui 20 accusati di associazione a delinquere, tra soci conferitori ed ex soci della cantina. Un vero e proprio terremoto, per la più grande cantina cooperativa della Lombardia, azienda da 40 milioni di euro di fatturato l’anno. La vicenda processuale non è ancora arrivata a conclusione, gli ex soci hanno chiesto un risarcimento ai vecchi vertici, ma i bilanci non sembrano risentirne, anche se il danno d’immagine è ovviamente enorme.
E La Versa? È il malato più grave, con le Fiamme Gialle che, a luglio, hanno messo i sigilli alla storica cantina, mentre l’amministratore delegato Abele Lanzanova è finito in manette per i reati di bancarotta e riciclaggio, il giorno dopo la terza richiesta di fallimento di “La Versa Spa” presentata dalla Procura della Repubblica di Pavia su istanza di due gruppi di soci e di alcuni fornitori. La fine di una storia gloriosa, ma anche l’inizio di qualcos’altro, perché dopo l’asta di fine 2016, andata deserta (la quotazione era di 5,6 milioni), in tribunale è arrivata un’offerta irrevocabile per l’acquisto con validità di 30 giorni. Fino al 15 febbraio chi vorrà potrà rilanciare a partire dalla cifra di 4,150 milioni di euro. Se nessuno lo farà, l’azienda andrà a chi ha già depositato una caparra da 250.000 euro, si fanno i nomi di Cantina di Soave, di Cavit e della stessa Terre d’Oltrepo.
“Pensiamo che un territorio si possa giudicare solo in base a ciò che fa per cambiare il proprio futuro quando le cose non vanno bene - dice a WineNews il direttore del Consorzio dell’Oltrepo Pavese, Emanuele Bottiroli - e se il territorio ha pagato un danno reputazionale pesante, ha anche messo in circolo degli anticorpi: oggi Terre d’Oltrepo ha una governance diversa, un nuovo presidente, Andrea Giorgi, con un nuovo gruppo di lavoro, per puntare sull’imbottigliato e su un nuovo modo di fare impresa, con un direttore, Giacomo Barbero, che viene da Conte Vistarino. Dopo le difficoltà, oggi la cantina è sana e guarda ad un futuro diverso, ma avrà bisogno di tempo. Poi ci sono aziende di qualità - continua Bottiroli - che sono l’altra metà del cielo e che hanno pagato tutto ciò che è successo nel nostro territorio loro malgrado, ma che sono state comunque capaci di scalare posti in classifica, portando ad una crescita complessiva del ranking qualitativo dell’intero Oltrepo, nonostante tutto ciò che è successo, che con il vino ha davvero poco a che fare. Il Consorzio ha provato a mettersi in scia a questo Oltrepo virtuoso avviando da due anni una profonda riforma dei disciplinari di produzione, con il presidente Michele Rossetti che ha deciso di allargare il cda a tutte le associazioni di categoria per garantire il massimo pluralismo, un percorso arrivato a conclusione, e che ci permetterà di lavorare sulla qualità e non sulla quantità, come è stato fatto finora, e per elevare l’immagine del territorio. Partendo - dice ancora il direttore del Consorzio dell’Oltrepò Pavese - dal nostro tesoro, il Pinot Nero, sia in rosso che spumante, e passando per la Bonarda ed il Riesling, che sono rispettivamente il nostro best seller, con 22 milioni di bottiglie l’anno, ed il bianco più rappresentativo del territorio, declinato ad alto livello da sempre più aziende. Stiamo lavorando anche per adottare la fascetta di Stato su tutta la Doc e per una revisione del regolamento di assemblea dei soci che possa dare ancora più peso alle piccole e medie imprese. In questo percorso - conclude Bottiroli - abbiamo coinvolto Unione Italiana Vini e Università di Milano, ascoltando il territorio ma dando la precedenza ai dati oggettivi, per una riforma che guarda al futuro, anche grazie all’arrivo alla guida di tante cantine delle nuove generazioni, che pensa a come sarà l’Oltrepò tra 10 anni, e non a breve termine: abbiamo la storia, dobbiamo farla fruttare, specie sui mercati esteri, dove facciamo ancora fatica”.
Già, una grande storia ed un potenziale enorme che, però, fa fatica ad esprimersi, anche a causa di “un’offerta troppo ampia, diventa difficile se non impossibile identificare il territorio con un prodotto, e di conseguenza anche portare avanti una strategia di marketing e di vendita condivisa”, come spiega, ancora e WineNews, Domenico Zonin, presidente del gruppo Zonin 1821, che nell’Oltrepò ha investito da ben 30 anni, quando acquistò Tenuta il Bosco, che oggi comprende 152 ettari vitati di proprietà. “Per noi, l’Oltrepò è un territorio vocato alla produzione di grandi basi spumante, il Pinot Nero qui dà risultati eccezionali, mi è capitato di aprire bottiglie vecchie di 20 anni, e trovarle in splendida forma. Questo, però, non vuol certo dire puntare su un singolo prodotto, tutt’altro. Il Pinot Nero - continua Domenico Zonin - dà ottimi risultati anche nella sua versione ferma, così come il Roesling e, soprattutto, la Bonarda. Quello che il territorio deve imparare a fare è puntare sulla qualità, puntare proprio sulle bollicine, e sulla tradizione, rilanciando la Bonarda, che non ha nulla da invidiare al Lambrusco: quello dei vini rossi frizzanti è un segmento interessantissimo. Ma sarà importante - ribadisce il presidente del gruppo Zonin 1821 - focalizzare l’attenzione su un numero inferiore di prodotti, quattro o cinque al massimo, perché oggi come oggi ogni azienda produce un numero spropositato di etichette, e questo crea un’enorme frammentazione, diventa impossibile fare realmente promozione territoriale. Adesso vediamo come si muoverà, con al nuova proprietà, La Versa, azienda simbolo dell’Oltrepò - conclude Domenico Zonin - non è detto che questa serie di sfortunati eventi non si trasformi in un’opportunità, nell’occasione per ripartire”.
E a ripartire pensa anche Ottavia Giorgi di Vistarino, a capo di Conte Vistarino, che dopo il sabotaggio subito alla fine del 2016 non ha intenzione di fare alcun passo indietro nel suo processo di crescita. “Conte Vistarino - racconta la produttrice a WineNews - sta vivendo una fase positiva, siamo apprezzati dalla critica e dai consumatori, abbiamo concluso la vendemmia 2016 con soddisfazione e proprio in questi giorni stiamo per sottoscrivere il contratto per l’avvio dei lavori di ristrutturazione della storica cantina di Villa Fornace, una cantina fortemente voluta dalla mia famiglia dove vogliamo creare un luogo ideale non solo per valorizzare i nostri vini ma per rilanciare tutto il territorio dell’Oltrepò Pavese. Questo momentaneo scoramento non ci fermerà - conclude Ottavia Giorgi di Vistarino - il danno è stato enorme ma non cederemo, anzi troveremo nelle persone, nella terra e nella nostra storia le energie che ci permetteranno di portare avanti il sogno di un Oltrepò Pavese sempre più forte”.

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