Attorno alla tavola ci sono Marisa, con le figlie Daniela e Arianna, titolari della storica azienda da un paio d’anni. Papà Livio è in vigna, ci raggiungerà al termine dei lavori. Avevo già incontrato Daniela e sorriso alle sue schermaglie umoristiche con alcuni produttori della zona. Occhi vivissimi e battuta pronta, Daniela si diploma enotecnico, lavora in azienda e contemporaneamente, per ampliare le sue conoscenze, in un laboratorio di analisi enologiche come analista. La cantina, piccola e con il minimo indispensabile, l’avevo appena visitata; le vigne, su 7 ettari, le avevo camminate. Siamo a Grana, paesucolo di quasi 600 anime, uno dei comuni di produzione di una delle ultime Docg del Piemonte, il Ruché di Castagnole Monferrato. Nulla a che vedere con il paese immaginario ai piedi del monte Rosa dov’è ambientato il romanzo Le otto montagne di Cognetti. Qui semmai si dovrebbe citare il libro Il vino del Papa, ma se proprio di religione dobbiam parlare, meglio ricordare don Giacomo Cauda, il prete-contadino e parroco di Castagnole Monferrato che “resuscitò” il Ruché dall’oblio. Ora al desco ci siam tutti, pronti per i Ruché d’antan. Nonno Carlo, svela Daniela, è morto a 94 anni… che c’entri il Ruché? Eh sì, perché il Ruché invecchia bene pure lui! Ci concentriamo sul 2016, autoriale ed esemplificativo: un Ruché dai classici richiami di rosa e mora di gelso, fresco, succoso e radioso al sorso.
(Alessandra Piubello)
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