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“AMERICA LOVES BRUNELLO”, SCRIVE JAMES SUCKLING SUL “WINE SPECTATOR”, E IL “WALL STREET JOURNAL” SDOGANA IL BARBARESCO: GLI ULTIMI APPREZZAMENTI INTERNAZIONALI AL VINO MADE IN ITALY

Italia
James Suckling (il primo a destra)

Gli ultimi apprezzamenti in ordine di tempo per Brunello e Barolo, due capisaldi dell’enologia italiana, arrivano da fonti più che autorevoli: rispettivamente il “Wine Spectator”, la “bibbia” Usa dell’enologia mondiale, e il “Wall Street Journal”, il più autorevole quotidiano finanziario americano. Il pezzo di James Suckling, firma tra le più autorevoli del “Wine Spectator”, non è solo una sperticata dichiarazione d’amore per il Brunello di Montalcino (Suckling del resto non ha mai nascosto di apprezzare il grande rosso toscano), ma anche la prova della consacrazione definitiva del Brunello nei gusti degli enoappassionati d’oltreoceano. “America loves Brunello”, titola Suckling, che ormai da molti anni vive in Toscana ed è l’European editor del “Wine Spectator”.

“Quando gli americani pensano al miglior vino rosso italiano, scommetto che la maggior parte di loro ha in mente il Brunello di Montalcino” esordisce Suckling, sottolineando che il vino di Montalcino è il più venduto negli Usa tra quelli italiani di alta fascia. E non è tutto: secondo Suckling, i suoi connazionali sono così infatuati del Brunello che una larga parte delle bottiglie vendute sul territorio sono acquistate proprio da turisti americani in vacanza. I fattori del successo del Brunello? Secondo Suckling il fatto che è estremamente piacevole da bere quando è giovane, e in più migliora con l’età. Inoltre, a differenza di tutti gli altri territori del vino in Italia, a parte il Barolo, quello di Montalcino offre alta qualità in quantità consistenti. Il Brunello, secondo Suckling, è diventato più di una denominazione: è ormai un “brand”, un marchio che garantisce la qualità. Tra le cantine di Montalcino, Suckling cita Castello Banfi, il più grande produttore del territorio, che esporta una grossa percentuale del suo Brunello negli Usa, e questo fa di Banfi “il motivo principale per cui il Brunello è così popolare sul mercato americano. Altri grandi produttori toscani come Antinori e Ruffino non sono riusciti a conquistare la stessa fama per il Chianti Classico, una delle regioni del vino italiano che soffre di una crisi di identità”.

Ma Suckling ricorda anche Biondi Santi, la griffe che ha creato la reputazione del Brunello come grande vino rosso da invecchiamento: “Le classiche annate Biondi Santi 1955, 1964 e 1975 sono tuttora bottiglie favolose”. Suckling si spinge anche a fare la lista dei suoi dieci produttori top, in ordine di preferenza: Eredi Fuligni, Casanova di Neri, Siro Pacenti, Altesino, Marchesi de’ Frescobaldi Castelgiocondo, Ciacci Piccolomini d’Aragona, La Poderina, Valdicava, Caparzo La Casa e Poggio Antico.

Ma per il vino “made in Italy” arriva anche un altro apprezzamento importante: il “Wall Street Journal Europe”, quotidiano economico Usa, sdogana i vitigni di Nebbiolo, a lungo “poco conosciuti fuori dall’Italia” ma dalle cui uve vengono fuori due grandi rossi piemontesi: il Barbaresco e il Barolo. Vini per tipi “eccentrici e volubili”, dal gusto “complesso” ma che qualsiasi “vero appassionato dovrebbe provare”. In uno speciale dedicato ai vini italiani, il “Wall Street Journal” passa in rassegna sette diverse etichette di questa varietà, a lungo considerata dal carattere troppo “duro” e troppo “tecnica”. Grazie, però, all’intraprendenza di un gruppo di giovani produttori locali, trent’anni fa qualcosa è cominciato a cambiare.

A fare da apripista è stato Angelo Gaja. E forse non è un caso che proprio il Barbaresco 2001 di questa grande griffe, una delle più note del made in Italy enologico nel mondo, sia riuscito ad aggiudicarsi il primo posto nella classifica del Wall Street. “Il colore era perfetto, un rosso velluto profondo e pieno”, scrive il quotidiano, “profumo di ciliege e more, gusto attraversato da note di cannella e liquirizia”. Nessuna esplosione violenta, poi, ma un “elegante sinfonia” di sapori. Secondo posto, invece, per il Barolo Castellero 2000 dei fratelli Barale.

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