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BIOTERRORISMO, DAL 12 DICEMBRE PIU’ DIFFICILE ESPORTARE NEGLI USA. PREOCCUPAZIONE PER IL MADE IN ITALY DEL “WINE & FOOD”

Italia
Vini, più difficile l'export negli Usa

Sarà più difficile dal 12 dicembre esportare vino negli Usa: lo spiega la Confagricoltura, che ricorda la prima scadenza operativa fissata dal “Bioterrorism Act”, la legge federale statunistense, varata nel giugno 2002, con lo scopo di controllare in maniera dettagliata tutte le importazioni, comprese quelle dei prodotti agricoli e alimentari. Le preoccupazioni nascono dalla complessità burocratica e dell’obiettivo aumento dei costi a carico delle aziende che esportano negli Usa, che si tradurrà inevitabilmente in una minore competitività delle nostre produzioni, già messe a dura prova dal “caro Euro”.
La Confagricoltura, quindi, ricorda che la legge sul bioterrorismo prevede tre adempimenti: il primo, la registrazione di tutte le aziende che producono, confezionano o detengono alimenti destinati al consumo umano o animale e che intendono esportare negli Usa presso la Food and Drug Administration (Fda); il secondo, una notifica preventiva (prior-notice) di ogni carico inviato, da inoltrare nel periodo immediatamente precedente l’esportazione; il terzo, ciascuna impresa che intenda esportare negli Usa, dovrà indicare all’Amministrazione il nome di un agente di riferimento fisicamente presente negli Stati Uniti (istituzione pubblica o soggetto privato non necessariamente di cittadinanza americana, ma residente negli Usa).
“Dal 12 dicembre queste procedure entreranno pienamente in vigore - commenta Confagricoltura - ed è evidente che ciò comporterà maggiori costi per le nostre aziende, soprattutto per quelle che non movimentano grandi volumi di affari”. I problemi derivano soprattutto dall'obbligo di avere un agente negli Usa. A questo riguardo la Confagricoltura, che pure si attrezzata da tempo per informare ed assistere le proprie aziende, ha segnalato una lista di agenti disponibili, suggerendo loro di “consorziarsi”, in modo da ripartisi i costi. Inoltre, mentre la registrazione delle aziende può essere effettuata facilmente, anche attraverso Internet, mancano ancora le modalità applicative e le “linee guida”, che pure la Food and Drug Administration (Fda) ha annunciato, per effettuare facilmente la ”prior-notice”. La Confagricoltura ricorda inoltre che, in Francia, il Ministro dell’Agricoltura si è impegnato, insieme ai rappresentanti della filiera vitivinicola, in una serie di iniziative volte a favorire le imprese esportatrici di vino sui mercati americani.
Gli scambi agroalimentari tra Italia e Stati Uniti sono importanti: come confermano anche i dati più recenti, la bilancia commerciale è largamente positiva, per quasi 1,4 miliardi di euro grazie, soprattutto, ai prodotti tipici del nostro “made in Italy”, primi fra tutti, vino, olio, formaggi e pasta (in particolare, nel 2002, la bilancia commerciale vinicola Italia/Usa in valore è stata: import 1,16 milioni di euro; export 718,64 milioni di euro, per un saldo +717,5 in milioni di euro).


Focus
L’opinione degli imprenditori vitivinicoli italiani

Si chiede Francesco Mazzei dell’azienda Castello di Fonterutoli (Chianti): “Sarà un caso? L’impressione è che gli Stati Uniti si stiano dando da fare per complicarci la vita. La nostra azienda produce mezzo milione di bottiglie l’anno, di cui il 20% finisce negli Usa. Adesso occorre adeguarsi, tutto passerà attraverso l’importatore: noi facciamo le pratiche, lui si accolla buona parte degli oneri, ma per noi è comunque una grossa perdita di tempo”. Ad adeguarsi sarà anche Castello Banfi, la più importante azienda del territorio del Brunello di Montalcino. Spiega Enrico Viglierchio, direttore generale: “Per ottenere il certificato richiesto sarà necessario fornire una serie di informazioni su tutta la filiera, dall’origine fino all’importatore. Ottenere il certificato non è complicato, ma costa 500 euro. Se si calcola che ci sono 40mila aziende esportatrici negli Usa, la somma che va al fisco americano è imponente. I problemi sorgeranno per le aziende prive di certificazione: i prodotto saranno sottoposti ad una serie di controlli non indifferenti, i container saranno aperti, e il contenuto ispezionato e analizzato”. Secondo Gianluca Bisol della Bisol, griffe del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene: “Noi italiani, ed in particolare noi imprenditori del mondo del vino, siamo talmente abituati ad affrontare una burocrazia imponente e spesso paradossale che questa novità sarà solo uno seccatura in più, non certo un freno per il nostro lavoro. Gli Stati Uniti sono per noi il principale mercato estero, il Prosecco di Valdobbiadene sta vivendo un successo straordinario, e siamo certi che il trend continuerà in positivo tra i consumatori oltreoceano, nonostante la legge contro il bioterrorismo”. Anche Alessio Planeta della giovane e lanciatissima cantina siciliana Planeta sdrammatizza: “E’ una cosa all’americana, niente di cui preoccuparsi. Si tratta solo di una perdita di tempo per compilare dei questionari. Gli Stati Uniti rimangono per gli italiani un importante mercato di riferimento, noi esportiamo lì il 7% della nostra produzione”.

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