Il Moscato d’Asti è uno dei vini più buoni e contemporaneamente più sottovalutati d’Italia, e forse ne sono un poco responsabili i produttori stessi. In tempi non sospetti gli è stata riconosciuta la DOCG, del tutto giustificata per i vertici qualitativi della denominazione. Di immediata fruibilità, nasconde una propensione all’evoluzione non ancora esplorata. Ciò detto, la zona di produzione è troppo grande, su qualche decina di comuni le vigne sono ovviamente diversissime per giaciture, microclima e composizione, e pertanto (con tutto il rispetto per chi le lavora) necessariamente non sono tutte egualmente vocate. Disgraziatamente, eccessivo lassismo dei controlli o meno, si trovano in circolazione tante, troppe etichette non all’altezza del potenziale del territorio, che hanno depresso l’immagine di questo vino, specie all’estero, a scapito di chi tuttora persegue l’eccellenza. Rimane quindi il rimpianto non vi siano ancora abbastanza Moscato d’Asti al livello del Sorì dei Fiori. Il suo frutto esprime maturità da perfetta esposizione (Sorì sta per la cima della collina, sempre soleggiata) senza che la fragranza ne soffra; la sua purezza si collega alla rinuncia ai diserbanti (i fiori in mezzo ai filari…). L’equilibrio rende la beva compulsiva: la sapienza esecutiva coniuga dolcezza e freschezza in una sintesi elegante. Per celebrare un’occasione di festa, un brindisi dopo l’altro.
(Riccardo Margheri)
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