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BORSA E VINO, UN MATRIMONIO ANCORA LONTANO: LE RICERCHE DICONO CHE IL MOMENTO E' QUELLO GIUSTO, MA I PRODUTTORI RIMANDANO LA SCELTA DI QUOTARSI

Borsa: il mercato dei grandi capitali chiama, ma per le aziende del vino
quotarsi rimane ancora una prospettiva lontana. Rimandato, o peggio bocciato,
l'appuntamento tra produttori e Piazza Affari. Se ne è discusso a Firenze
dove nei giorni si è tenuto il convegno organizzato dal Master universitario in Management e Marketing delle imprese vitivinicole. Il denso incontro ha fatto da sfondo al lancio
da parte di Mediobanca del primo indice azionario mondiale dei vini, ma
è stata soprattutto l'occasione per invitare i produttori italiani a valutare
con attenzione i molti vantaggi derivanti dall'entrata in Borsa, così come
fatto in tanti altri paesi come Australia, Cile e Stati Uniti. Più capitali
e quindi maggiore possibilità di operare investimenti, ma soprattutto una
marcia in più per rispondere ad una competizione globale sempre più agguerrita.
"Le imprese devono cercare un rapporto nuovo con il mercato dei capitali
e devono capire se la via della Borsa è possibile per quelle medio-grandi
- ha sostenuto Stefano Cordero di Montezemolo, docente di finanza aziendale
alla facoltà di Economia dell' Università di Firenze - La capacità di crescita
delle società straniere quotate conferma che c'é bisogno di investimenti
importanti nei prossimi anni e le aziende italiane mi pare non abbiano la
capacità di autofinanziamento sufficiente per reggere le sfide globali.
Le imprese italiane devono capire come programmare meglio la propria posizione
finanziaria per sostenere strategie di crescita. La qualità non basta più
- ha sottolineato il docente - il mercato si sta razionalizzando e la leva
del prezzo sta diventando sempre più cruciale. La capacità di crescita delle
società straniere quotate conferma che c'é bisogno di investimenti importanti
nei prossimi anni e le aziende italiane mi pare non abbiano la capacità
di autofinanziamento sufficiente per reggere le sfide globali. Per vincere
la nuova sfida servono capacità di reperire capitali, capacità di penetrare
il mercato e una grande dimensione distributiva. Per crescere è pensabile
un aiuto finanziario da parte di fondi e società specializzate". Secondo
Cordero di Montezemolo per la quotazione le caratteristiche dimensionali
richiedono aziende da 40 milioni di euro. "In Italia ci sono imprese di
questa grandezza ma non sono ancora del tutto preparate a questo tipo di
operazione. Serve un cambiamento di mentalità organizzativa e serve in fretta.
I mercati stanno cambiando, la crisi non sembra essere ciclica ma strutturale
e le aziende devono scegliere se stare all'attacco o in difesa. E per attaccare
- ha concluso - bisogna investire, crescere ed internazionalizzarsi".
Garbata, ma secca, la risposta dei produttori. "Non dimentichiamo - ha spiegato
Filippo Mazzei del Castello di Fonterutoli - la natura del sistema vitivinicolo
italiano che è costituito in larga misura da aziende medio-piccole e con
carattere familiare. Difficile in quest'ottica poter fare paragoni tra l'Italia
e il Nuovo Mondo. La Borsa rappresenta certo una buona occasione per reperire
capitali e operare nuovi investimenti, ma grandi capitali non sono sinonimo
di grande redditività. Non dimentichiamo ancora che per le imprese del vino
gli asset principali sono i vigneti che rappresentano un investimento ammortizzabile
su un arco temporale di lunghissimo periodo. Altro che Borsa. E poi - ha
continuato Mazzei - per un'azienda vinicola che vuole quotarsi il primo
nemico è rappresentato da Quater e dai dividendi, difficili da assicurare
per un sistema produttivo che è fortemente legato alla stagionalità e agli
andamenti climatici. La qualità resta la nostra arma ed il gioco dei prezzi
al ribasso è sterile e ci vedrà sempre perdenti davanti al Nuovo Mondo".
Dello stesso avviso anche Paolo Menichetti, direttore amministrativo di
Castello Banfi, e Giovanni Geddes di Frescobaldi, secondo cui "Gli investimenti
nel mondo del vino rimangono essenzialmente investimenti di tipo agricolo
mal conciliabili con gli appetiti della Borsa, soprattutto se la volontà
è quella di puntare su produzioni di qualità e su i “fine wine” destinati
all'invecchiamento". Tra Borsa e vino, insomma, il matrimonio per il momento
non s'ha da fare, ma la partita non è ancora chiusa e chissà che un domani
i vignaioli italiani non cedano prima o poi alle lusinghe del mercato finanziario.

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