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Brexit? Quale Brexit? Volano i prezzi dell’on-trade enoico in UK: tra 2016 e 2017 il costo medio di una bottiglia di rosso è cresciuto del 26,6% e quello di una di vino bianco del 15%. A dirlo l’“On-Premise Report” 2018 di Wine Business Solutions

Il combinato disposto di premiumizzazione imperante e inflazione generata dai consumi si è decisamente fatto sentire nell’on-trade britannico nell’anno passato, con buona pace dell’enorme incognita finanziaria, economica e sociale della Brexit: nel giro di dodici mesi il prezzo medio di una bottiglia di vino rosso è passato da 30,1 a 38,1 Sterline (+26,6%), e quello di una di vino bianco da 26,6 a 30,6 Sterline (+15%), con aumenti di prezzo della stessa ampiezza anche per il vino al bicchiere (rispettivamente del 15,9%, a 7,3 Sterline, e del 15,4%, a 7,48 Sterline). A dirlo è l’ “On-Premise Report” 2018 della società di analisi di mercato Wine Business Solutions (www.winebusinesssolutions.com.au), che sottolinea anche il fatto che la spinta verso l’alto dei prezzi medi è dovuta a un processo di premiumizzazione che non sembra conoscere sosta e che appare particolarmente marcato, secondo il fondatore della società PeterMcAtamaney, per i vini da tavola, ad eccezione del settore dei rossi, il cui aumento di prezzo medio è dovuto all’inclusione in sempre più carte dei vini di etichette “ultra-premium”.
Gli aumenti, inoltre, sono particolarmente concentrati nelle aree di Londra e del sud del Paese, ed altrettanto interessante è l’analisi della dinamica delle quote di mercato dei Paesi produttori: se nel dicembre di un anno fa Francia e Italia erano separate da meno di due punti percentuali, con l’Esagono al 26% dell’on-trade e il Belpaese al 24,1%, la prima è riuscita a recuperare nel periodo 2,8 punti percentuali, arrivando al 28,8% attuale, mentre l’Italia non è cresciuta affatto. Terza, ma ben distaccata, è la Spagna, che sembra soffrire molto più degli altri Paesi produttori, secondo McAtamney, delle mode del momento, e che lascia sul campo 1,7 punti, passando dall’11,5% al 9,8% del mercato totale. In deciso calo anche gran parte del “nuovo mondo”, con il quarto classificato, il Cile, che scende al 7,5% (-0,5%), l’Australia che lascia sul terreno lo 0,9% (al 5,7%) e il Sud Africa che si tiene staticamente stretto il suo 5,6%, mentre la Nuova Zelanda cresce di ben 1,3 punti (a 4,9%) e l’Argentina guadagna mezzo punto percentuale, a 4,7%. Brusca, infine, la battuta d’arresto degli Stati Uniti d’America in nona posizione, con la quota di mercato dell’Unione in UK che scende dal 4,2 al 3,2%, e anche il Portogallo lascia sul campo lo 0,3%, scendendo all’1,6% del mercato totale.

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