Una scommessa impegnativa: quasi da irresponsabili, date anche le conoscenze e le prospettive enologiche dell’epoca. Provate a tirar voi le somme. Una cooperativa, innanzitutto; un ambito difficile, seppur di una regione meravigliosa; un vitigno autoctono affatto singolare, per caratteristiche ed evoluzione; infine una contingenza temporale (metà degli anni Settanta), in cui il vino italiano non aveva ancora del tutto capito come e dove andare a parare. Una scommessa vinta, però, quella della Cantina Santadi, sorta nel 1960 ma apertasi a nuova vita alla metà dei Settanta, per l’appunto, in virtù di tre figure da medaglia al valore: il presidente Antonello Pilloni, ancora in carica, il dirigente commerciale Raffaele Cani e un enologo sardo apprezzato in tutto il mondo, che agli inizi avrebbe dato una mano fondamentale, tal Giacomo Tachis… Da lì a tutto il resto: dal vino sfuso alla bottiglia, fino alla valorizzazione di un territorio che le avrebbe tutte, per esplodere. A partire da terreni che, in virtù dei tanti conferitori, muovono dal vulcano all’argilla alla sabbia costiera: per non dire dei molti vigneti di carignano ad alberello, ancora a piede franco e molto vecchi. Un campione su tutti, questo Carignano Terre Brune: ampio, minerale, persistente, dinamico, concentrato e contrastato, originale e coinvolgente, anche se di certo non facile. In una parola, emozionante.
(Fabio Turchetti)
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