La storia di Santadi racconta più di tante parole l’importanza di questa cantina nel percorso di crescita del vino sardo. Una storia che nasce come tante, ormai quasi sessanta anni fa (era il 1960), dallo slancio di un gruppo di vignaioli, decisi a cooperare per mettere a frutto il proprio lavoro. I primi anni servono a rodare una macchina complessa e vedono la produzione e vendita di solo vino sfuso, mentre le prime bottiglie commercializzate con determinazione arrivano intorno agli anni Ottanta. Anni in cui in cantina era già in atto la svolta decisiva, visto che il presidente era già Antonello Pilloni (ancora in carica) e che il gruppo dirigente di allora aveva chiamato alla consulenza tecnica un certo Giacomo Tachis. Questi gli albori, oggi la Cantina Santadi è un colosso, almeno per l'economia dell'isola dei Nuraghi, da quasi 1.800.000 bottiglie e oltre 600 ettari a vigneto, ed un marchio apprezzato senza se e senza ma in Italia e all'estero. Certo la stella resta il vino simbolo della cantina, il Terre Brune, ma anche il resto della gamma è cresciuto non solo in quantità ma anche in qualità, a partire dalla produzione bianchista, certo minoritaria. Il vino dolce da uve Nasco Latinia 2012, per esempio, ha profumi di miele, zucchero vanigliato e chiodi di garofano. In bocca è persistente, equilibrato, con una dolcezza mai stucchevole e un finale che rimanda ai fiori d'arancio.
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