Il Villa di Chiesa, nel cui blend a prevalenza di Vermentino c’è anche una cospicua quota di Chardonnay, è fermentato e maturato in barrique. La versione 2020 profuma di ginestra, frutta esotica, ananas e banana con tocchi di vaniglia e scorza di agrumi. In bocca, il sorso è morbido, generoso e di continua sapidità, congedandosi con un finale intenso e dai ritorni agrumati. La storia di Santadi racconta più di tante parole l’importanza di questa cantina nel percorso di crescita del vino sardo. Una storia che nasce ormai oltre sessanta anni fa (era il 1960), dallo slancio di un gruppo di vignaioli pionieri. I primi anni servirono a rodare una macchina complessa con produzione e vendita di solo vino sfuso, mentre le prime bottiglie arrivano sul mercato intorno agli anni Ottanta del secolo scorso. Anni in cui in cantina era in atto uno scarto decisivo, visto che il gruppo dirigente di allora chiamò un certo Giacomo Tachis a riorganizzare l’assetto tecnico aziendale. Questi gli albori, oggi la Cantina Santadi è un colosso, almeno per l’economia dell’isola dei Nuraghi, da quasi 1.800.000 bottiglie e oltre 600 ettari a vigneto. Certo la stella del firmamento Santadi resta il vino simbolo della cantina, il Terre Brune, ma anche il resto della gamma è cresciuto non solo in quantità ma anche in qualità, proiettando questa cantina sociale tra i marchi imprescindibili della Sardegna enoica.
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