Vigna Camaldoli sono otto gradinate di filari che si affacciano sulla città di Napoli: tre ettari piantati trent’anni fa a 280 metri sul livello del mare. Siamo nella parte più alta della città, ancora nei Campi Flegrei, un luogo magico dove i vigneti sono stati piantati in antichi crateri di vulcani ormai spenti. Ad occhio nudo se ne vedono 30, ma sono più di cento. La Camaldoli è una vigna metropolitana - Napoli è la seconda città con più ettari vitati dopo Vienna - dove la famiglia Varchetta raccoglie le uve di piedirosso per la Riserva: «L’uva migliore viene lasciata a maturare fino a ottobre - racconta Cristina, donna del vino - I grappoli vengono diraspati a mano, acino per acino. La vinificazione avviene in un tino in ciliegio, un legno poroso che permette una bella ossigenazione. Il Piedirosso ha bisogno di ossigeno, perché può avere un problema di riduzione». È un cratere di un vulcano che si è formato nel secondo periodo flegreo, la terra è tufo giallo napoletano. Un tempo si chiamava Monte Prospetto. Qui i monaci che fondarono un monastero. «Il Piedirosso sta vivendo la sua seconda vita - aggiunge Cristina - è difficile da coltivare e da vinificare. È il vino dell’allegria, rappresenta bene la napoletanità». Naso complesso con note di erbe mediterranee e tabacco, ribes nero e mora che tornano in bocca. Si abbina ai piatti «pomodorosi»: polipetti alla Luciana o coniglio col pomodoro.
(Fiammetta Mussio)
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