La scelta di dedicare la propria bottiglia di punta al Fondatore della casata, ove non sia puro escamotage escogitato da un marketing furbetto e insieme semplicistico, è appannaggio orgoglioso di chi, nel vino, ha lasciato lungo il suo percorso una autentica traccia. Nel caso di Chiarli, neppure l’ombra di un dubbio. La sua storia ha l’età dell’Italia unita, e inizia con lei (1860), il primo exploit internazionale risale nientemeno che all’Expo di Parigi: 1900. E da allora, praticamente, zero pause. Condividendo certo in parte, inevitabilmente, i sobbalzi e i saliscendi della denominazione, ma mai perdendo l’allure stra-guadagnata sul campo e la meritatissima medaglia di griffe pienamente affidabile e qualitativa. Il resto è storia contemporanea: storia di oggi con affaccio sul domani. In cui, riaffermandosi saldo nel plotone che regala nuova gloria e posizionamenti sempre più intriganti al Lambrusco, il brand si piazza ancora una volta tra i top di gamma con questo vino (fermentato in bottiglia nel rispetto del metodo ancestrale) dalla mousse compatta e profumata, note di frutto incisive e appetitose miste a nuance “panose”, acidità ben modulata, corpo carnoso e in teso equilibrio, e beva (facilitata dal grado giusto) golosa e appagante. Un vino senza dubbio gastronomico, ma anche didattico per chi voglia impegnarsi in una (ri)scoperta della convincente classicità della tipologia.
(Antonio Paolini)
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