Bella la storia dell’Oseleta. Rincuora sul futuro del vino italiano. Un vitigno che ha tutto, colore-struttura-frutto-acidità, abbandonato causa la scarsa produzione (ca. 400 gr. per pianta…), e riscoperto quando è sempre più fortunatamente invalsa l’idea di fare vino di qualità, e non in quantità. Cosicché la si trova ormai abbastanza spesso nell’uvaggio di più di un Amarone per conferire nerbo, e c’è chi azzarda un’etichetta in purezza. A Corte Archi la vigna di Oseleta sta lì da tempi non sospetti (tre generazioni…), e lo stile di vinificazione può definirsi tradizionale (ad es. anche per l’Amarone si aborre l’appassimento forzato, che l’annata deve mostrare le sue peculiarità). Una lunga macerazione per estrarre un tannino imponente (il che denota una grande fiducia nella maturità delle proprie uve), e due anni di tonneaux che all’assaggio risultano digeriti con ammirevole nonchalance. Ciò che attrae, in questo vino, è come la struttura monumentale possa declinarsi in una simile compiutezza, in un’ineffabile eleganza. Il naso esplode di confettura di ciliegia e di cioccolato, con il contorno di pepe nero e grafite. Al palato un tannino fittissimo fodera con un tocco vellutato le mucose, e la dolcezza del frutto si ripropone precisa, in un lungo finale senza niente di amaricante né pesantezze. Un vino per piatti e occasioni importanti, e per sorprendere gli ospiti con qualcosa di inusitato.
(Riccardo Margheri)
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