Macera per circa un mese sulle proprie bucce e poi matura in botti di legno di quarto passaggio (e una parte in acciaio) la Tintilia interpretata dall’azienda Di Majo Norante, fra le più note cantine a rappresentare le varietà autoctone in questo fazzoletto di terra italiana, che pare non esistere. Una sorta di “isola che non c’è”, piena di sorprese da scoprire, fra i saliscendi delle montagne che declinano sulla costa turchina del basso Adriatico. Piena di gioielli tutti suoi, come la Tintilia, appunto: vitigno rustico e colorato, resistente agli sbalzi di temperatura, dai grappoli spargoli e acini piccoli, capace di grande struttura senza perdere eleganza. La Tintilia di Di Majo Norante proviene da 5 ettari di vigneto (in totale sono 85 quelli aziendali) posti fra i 300 e i 350 metri di altezza su suolo argilloso, e la versione 2020 pare un concentrato di viola, unito a note di spezie dolci, di tabacco e ad un ricordo quasi vinoso che dà vivacità. In bocca ha una succosità inaspettata: è certamente aderente, ma lo fa con grazia, scorrendo sapido lungo il sorso e richiamando il sapore di viola che aveva anticipato nei profumi. Un vino che non passa inosservato ma che non s’impone, e che conferma come fosse limitante l’uso come uva da taglio cui a lungo venne rilegata. Ne ha fatto un motivo di orgoglio l’azienda, che fa vino dal 1800 e che con Alessio Di Majo Norante ci ricorda che il Molise esiste. Eccome.
(ns)
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