Circola in Italia, anche in campo giornalistico, la teoria strana che sia l’acidità che garantisce la qualità dei vini bianchi, che devono essere “salati” (termine molto in voga nelle recensioni attuali). Se fosse vero i bianchi più pregiati del mondo, i grandi Chardonnay della Borgogna, che svolgono addirittura la malolattica e sono morbidi e carezzevoli, risulterebbero squalificati di apprezzamenti nelle discussioni del valore relativo delle varie zone e vini. Eppure costano centinaia di euro.
Pensieri che affiorano quando si degusta il Verdicchio succulento prodotto da Enrico Ceci nella bella zona di San Paolo di Jesi. Vignaiolo sì, ma contadino a tutto tondo e fiero del mestiere: non dimostra pazienza alcuna con coloro che chiama “vignaioli per sport”, quelli che hanno impiegato il denaro guadagnato in altri campi per mettere in piede aziende “modello”, super attrezzate di tecnologia ultra moderna. Ceci invece, che produce olio d’oliva, coltiva ortaggi, alleva polli, anatre e maiali e fa pure il norcino, è uomo della terra e la sua cantina non potrebbe essere più semplice. Ma le fatiche in campo si sentono nel suo Verdicchio, ampio, dolce, profumato e complesso nonostante l’ottimo grado, che riempie la bocca e la soddisfa. Senza eccessi di acidità. La base della produzione è venduta sfusa a clienti che vengono da ogni parte d’Italia, segno che non potrebbe essere più rassicurante.
(Daniel Thomases)
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