Che meteorologicamente le cose siano sensibilmente cambiate, negli ultimi anni, è dato che ormai non teme più il rischio di essere smentito, anche per via degli aridi numeri di valenza statistica. Al di là dei motivi per cui tutto ciò abbia la sua principale ragion d’essere, che oggidì investono esperti del settore, politici e amministratori vari sparsi per tutto il globo terracqueo, è oggettivo che la Valle d’Aosta sia stata messa in ginocchio, nel 2017, da una gelata che a metà aprile aveva giustamente generato il panico fra i viticoltori locali (e non solo). Non bastassero quindi le già difficili condizioni in cui si trovano ad operare quotidianamente i produttori della regione, impegnati fra terrazzamenti, vigneti dalla dislocazione improbabile ed escursioni termiche talvolta utilissime ma spesso anche imprevedibili, ad un certo punto i numerosi sforzi erano stati vanificati pure dall’inclemenza del cielo. Comprensibile quindi l’attesa di assaggiare i 2018 di Ermes Pavese, solitamente tra i fiori all’occhiello dei vini della zona: frutto di una cantina da vent’anni sensibile ad un’eco-sostenibilità ambientale senza compromessi, e che ha fatto del Prié Blanc il baluardo di una viticoltura estrema. Ecco allora l’ultima annata del cosiddetto vino base: a ricordarci i tipici fiori bianchi, le note erbacee e una bocca delicata ma raffinata, equilibrata e di beva deliziosa.
(Fabio Turchetti)
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