Assaggiando sistematicamente i vini maremmani (operazione, detto fuori dai denti, molto più gradevole adesso che non solo poco tempo fa) ci si rende conto di quanto sia cambiata enormemente la viticoltura nel Sud della Toscana negli ultimi anni. Al tempo dei Supertuscans e della follia collettiva per maturità ed opulenza, la Maremma era il paradiso in terra dove confezionare quel profilo gustativo diveniva magicamente semplice. Adesso, per fortuna a nostro giudizio, l’ancora nuova Doc Maremma non è una denominazione ombrello, ma il simbolo che accomuna chi persegue eleganza e piacevolezza di beva. Alla Fattoria di Magliano già il Vermentino Pagliatura sorprende con le vecchie annate, e il Sangiovese Sinarra si distende in una succosità vellutata. Ma soprattutto il taglio bordolese Poggio Bestiale, con il saldo di Petit Verdot d’ordinanza (in Maremma matura così bene che se ne stempera la rusticità), sfoggia un garbo ormai non più sorprendente anche grazie all’uso parsimonioso del legno. Ad una naso immacolato di frutta nera matura con speziatura perfettamente integrata, fa riscontro un tannino cesellato che sostiene la nettezza della parte aromatica: essa si allunga precisa verso il fin di bocca senza pesantezze, né tanto meno eccessi di sottigliezza altrettanto artefatta, nel contesto di un equilibrio superiore. Un sentito benvenuto ai nuovi Supertuscans, se brilleranno di luce così cristallina.
(Riccardo Margheri)
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