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SPUNTATURE

I due Verdicchio che nel bicchiere si perdono

Le principali zone di coltivazione del Verdicchio marchigiano, come noto, sono quella dei Castelli di Jesi, prevalente, e quella di Matelica, molto più limitata (un decimo di quella di Jesi - mediamente 25.000 quintali contro 250.000 - così come anche il rapporto tra i numeri delle aziende vitivinicole e tra le superficie di produzione). In generale, i vini prodotti a Jesi tendono a esibire un corpo maggiore e un timbro più solare e mediterraneo, dati i vigneti orientati verso l’Adriatico. Matelica, invece, è circondata dagli Appennini, le escursioni termiche sono più incisive ed suo Verdicchio può essere considerato vino d’altura, più dotato aromaticamente. Lo abbiamo sottolineato da tempo come un valore aggiunto (qui trovate le precedenti monografie del 2018, 2019, 2020 e 2021), ma purtroppo la questione si annacqua - è proprio il caso di dirlo - quando cerchiamo di verificare queste differenze nel bicchiere. Qui entra in gioco lo stile aziendale. E se ancora sono una minoranza le cantine che adottano, per esempio, vinificazioni in riduzione - capaci di consegnare ai vini bagagli aromatici originali e ben caratterizzati come l’aroma di anice, vero e proprio “marcatore” del Verdicchio - troviamo, invece, un folto gruppo di aziende, che, pur mantenendo un livello qualitativo di buona caratura, adottano metodologie produttive destinate a cancellare i tratti varietali principali del Verdicchio e quelli distintivi di Jesi e Matelica (pensiamo soprattutto alla tendenza a lasciare del residuo zuccherino nei vini e/o a valorizzare la componente varietale alloctona). Qualcuno dirà che si tratta di un’esigenza commerciale. Ma parrebbe sempre più evidente, che il mercato richieda originalità e non uniformità tra i vini. E allora c’è da riflettere.

(fp)

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