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Il mondo delle bollicine, dall’Italia alla Francia, passando per la Spagna, guarda al futuro. In vista, una vendemmia difficile: Franciacorta, Prosecco ed Oltrepò scontano i danni del gelo, in Champagne i Vignerons Indépendants chiedono rese maggiori

Italia
Il mondo delle bollicine guarda al futuro

Se il commercio enoico mondiale continua a crescere, il merito, almeno negli ultimi anni, è quasi tutto delle bollicine: i consumi, dal 2012 al 2016, sono cresciuti nel complesso dell’1,3% in volume (251,6 milioni di casse da 9 litri) e del 5,3% in valore (26,1 miliardi di dollari), mentre per le bollicine italiane la crescita è stata decisamente più sostenuta, pari al 6% in volume (38 milioni di casse da 9 litri) e dell’11,4% in valore (6,2 miliardi di dollari). Numeri destinati a crescere ancora, e che hanno quindi bisogno di essere sostenuti da un potenziale produttivo all’altezza. Ecco perché, ad esempio, la superficie vitata del Prosecco Dop, divisa tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, passerà dagli attuali 23.250 ettari ai 24.450 ettari del 2020, di cui 222 saranno di spettanza del Friuli Venezia Giulia ed i restanti 978 ettari del Veneto.
Uscendo dal Belpaese, non sorprende in tal senso la decisione della Rioja, la denominazione più rappresentativa di Spagna, che in uno storico rinnovamento del disciplinare ha aperto alla produzione di spumanti metodo classico, sulla scia del successo del Cava che, proprio come il Prosecco, è diventato il traino dell’export enoico spagnolo: 245 milioni di bottiglie vendute, divise tra consumo domestico (86 milioni di bottiglie, -0,8%) ed export (159 milioni di bottiglie, +1,1%), che ne fanno il metodo classico più esportato al mondo.
Due strategie che guardano, con una certa fiducia, al futuro, ma il presente pone già di fronte una sfida importante: una vendemmia, attesa in forte anticipo dopo il gran caldo che ha colpito l’Italia nell’ultimo mese, che nei grandi territori degli sparkling tricolori non sarà certo all’altezza delle necessità di mercato e della media produttiva degli ultimi anni. Partiamo dalla Franciacorta, dove le gelate di metà aprile, secondo le previsioni del Consorzio Franciacorta, hanno ridotto di un terzo il potenziale produttivo della Denominazione. Importante è ricordare, però, che i millesimati rappresentano, mediamente, l’11,6% della produzione annuale complessiva. Danni a cui vanno sommati quelli della grandinata di qualche giorno fa, ad aggravare la situazione non solo in Franciacorta, ma anche tra i filari del Prosecco, dove, come ha raccontato il presidente del Prosecco Doc, Stefano Zanette, “l’evento è stato di indubbia intensità, non tanto per la quantità e la durata ma per la grossezza dei chicchi e la forza data dal vento, che ha trasformato in proiettili le sfere di ghiaccio. Devo ancora quantificare l’esatto ammontare dei danni“.

Tornando alle gelate di aprile, è andata leggermente meglio in Oltrepò, con il 20%-25% del vigneto colpito, ma ancora un buon potenziale produttivo. Che, però, rischia di vivere una vera e propria “emorragie di uva verso altre zone vinicole, con ripercussioni negative sulla performance delle nuove strategie di mercato programmate da cantine sociali e aziende private“, come spiega un comunicato del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. Un allarme chiaro, perché le denominazioni maggiormente colpite dal maltempo potrebbero rivolgersi proprio ai produttori di un territorio che fa ancora fatica a creare valore aggiunto. “Dobbiamo mettere nero su bianco degli impegni con i produttori di uva, che in vigna fanno qualità ma faticano a fare reddito, per crescere di anno in anno. L’Oltrepò - spiega il direttore del Consorzio dell’Oltrepò Pavese, Emanuele Bottiroli - necessita di un piano di sviluppo, perché tutta l’uva non finisca solo in prodotti “commodities” a basso prezzo. Dobbiamo segmentare in modo chiaro il nostro mercato, perché da noi più che un problema di qualità esiste un problema di metodo. Se non facciamo noi il nostro mercato, subiremo sempre le speculazioni degli altri“.
Qualità e prezzo, valori sempre suscettibili di variazioni importanti di anno in anno, in cui a farla da padrone sono il mercato ed il meteo. Oltre, non tanto in Italia quanto nella vicina Francia, alla capacità delle associazioni di viticoltori di strappare i prezzi e le rese migliori. È il caso dello Champagne, dove, in vista della vendemmia, i Vignerons Indépendants hanno chiesto al Comité Interprofessionnel du vin de Champagne un innalzamento delle rese, dai 10.800 chili ad ettaro del 2016 a 11.800 chili ad ettaro. Criticando, e mettendo in dubbio, un intero sistema, che lega le rese (decise di vendemmia in vendemmia) ai volumi venduti: “una politica - sostengono i Vignerons Indépendants - che non ha avuto, negli anni, alcuna incidenza sulle vendite, né sulla valorizzazione del prezzo della singola bottiglia. Abbiamo bisogno di ossigeno, specie dopo gli investimenti degli ultimi anni, a sostegno dell’enoturismo e dell’internazionalizzazione”.

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