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“Il nuovo volto dell’integrazione”: Fai Cisl presenta i dati sui lavoratori migranti in agricoltura. Dal 1999 ad oggi sono passati da 52.000 a 350.000, senza di loro si rischierebbe un -25% in produzione di materia prima

La migrazione non ha solo risvolti negativi, come tanti politici vorrebbero far credere, ma anzi: in 18 anni, dal 1999 ad oggi, i lavoratori migranti regolari nel settore agricolo sono passati da 52.000 a quasi 350.000, con un incremento che sfiora il 700% e porta l’occupazione migrante a un terzo della complessiva forza lavoro agricola. Se di colpo sparissero tutti gli immigrati dai campi italiani, secondo un rapporto della Fai Cisl - Federazione Agricola Alimentare Ambientale Industriale Italiana, presentato ieri a Roma “Il nuovo volto dell’integrazione”, la produzione di materia prima calerebbe di almeno il 25% (www.faicisl.it).
Un contributo quello dei migranti che il sindacato giudica “irrinunciabile”,
e i prodotti tipici della buona tavola italiana, dal formaggio al vino, dal prosciutto alla mozzarella, dipendono sempre più dal lavoro di mani straniere “che sanno affrontare in modo specifico e avanzato i problemi dei singoli segmenti produttivi” dice ancora il sindacato che indica come esempi eccellenti la comunità indiana e quella pakistana per la zootecnia, quella tunisina per la pesca, la rumena e la macedone per la pastorizia, la polacca per l’ortofrutticolo, quella senegalese, tunisina e marocchina per la raccolta di olive, uva e pomodori. In linea generale, sono 12 le nazionalità che rappresentano da sole l’85% del totale: Romania, India, Marocco, Albania, Polonia, Bulgaria, Tunisia, Macedonia, Senegal, Slovacchia, Pakistan, Moldavia.
“Senza lavoro migrante regolare, ben tutelato e retribuito - ha commentato la leader Cisl, Annamaria Furlan - un settore centrale come l’agroalimentare italiano non potrebbe esprimere la propria eccellenza. Serve buona integrazione, inclusione, riconoscimento di diritti per tante donne e tanti uomini oggi stretti nella morsa dello sfruttamento e del caporalato. La legge 199 è un passo determinante, ma non basta: bisogna aprire una stagione di contrasto partecipato dalle parti sociali e dal sindacato sui territori”. “Negli ultimi anni - ha affermato il segretario generale della Fai Cisl Luigi Sbarra - sono stati spesso i nuovi arrivati a mantenere vive comunità rurali tenute a lungo ai margini delle nostre politiche di sviluppo. Coinvolgere, includere, integrare queste persone è una
partita a vincere, sempre e per tutti”.

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