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Il vino italiano tra opportunità e criticità: dalle difficoltà nel gestire le esportazioni alle criticità del passaggio generazionale, il futuro passa per accesso a nuovi mercati e innovazione. A dirlo un’indagine tra oltre 100 cantine del Belpaese

L’export è una via obbligata per il vino italiano, e non è un caso che il 75% delle cantine del Belpaese, nel 2017, abbia venduto nel mondo i propri vini. Eppure, ancora, per 1 cantina su 4, vendere oltreconfine è una criticità, e le difficoltà principali sono le inadeguate capacità finanziare per investire sui mercati, i rapporti con la distribuzione estera (tra limiti logistici, organizzativi e di comunicazione che, peraltro, sono una criticità anche per la metà delle cantine che esportano) e la scarsa conoscenza dei mercati da presidiare. È una delle evidenze che da un’indagine di Nomisma e, con Enapra, Confagricoltura Intesa San Paolo, che ha sondato 105 cantine del Belpaese. Ma non sono solo nell’export, le criticità segnalate dalle aziende, pilastri di un comparto che, comunque, è in salute. E dove 8 cantine su 10, negli ultimi tre anni, hanno investito in innovazione, soprattutto attrezzature (72%), ma anche internazionalizzazione (50%) e formazione (44%). Tra i maggiori ostacoli ad investire nel futuro, le aziende, al vertice (con il 26% a testa), indicano la mancanza di incentivi e strumenti finanziari, e le capacità economiche, seguite dalla difficoltà nel reperire informazioni sulle innovazioni in cui investire (17%), l’accesso al credito (11%) e le competenze interne non adeguate, indicate come prima risposta dall’8% delle cantine. Altro tema, delicatissimo, che il settore sta affrontando, è quello del passaggio generazionale. Aspetto cruciale, se si considera anche che il 90% delle cantine italiane è, di fatto, a gestione familiare. In questo senso, le criticità più segnalate sono, nel 28% dei casi, il non interesse dei figli dei proprietari a proseguire l’esperienza imprenditoriale di famiglia, nel 27% la reticenza dell’imprenditore a lasciare il testimone, nel 26% dei casi le difficoltà dell’organizzazione ad accettare il cambiamento, mentre il 6% indica l’incapacità di lasciare la gestione a manager esterni, ed il 5% la mancanza di capacità imprenditoriale dei propri figli. Ma, nel complesso, il settore del vino se la passa meglio di tanti altri, con una ritrovata vitalità del mercato interno, ed il record delle esportazioni nel 2017, che ha sfiorato i 6 miliardi. E così, parlando di futuro, per il 22% delle imprese il primo fattore strategico nei prossimi anni sarà l’accesso a nuovi mercati, mentre per il 16% la priorità sarà l’accesso a nuovi canali distributivi. A distanza, seguono l’ottimizzazione dei costi (9%), l’enoturismo e la vendita diretta in cantina (8%), e poi, con il 7%, l’investimento in e-commerce, vini bio e sull’aumento della produttività.

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