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L’Europa in frenata, il continente Americano in crescita costante, l’Asia che spicca il volo: i tre Continenti che animano il commercio mondiale di vino nella fotografia scattata da Osservatorio del Vino e Corriere Vinicolo - Unione Italiana Vini

L’Europa in frenata, il continente Americano in crescita costante, l’Asia che spicca il volo: sono i tre Continenti che animano il commercio mondiale di vino, e che nel 2017 hanno mosso 35 milioni di ettolitri, per un giro d’affari complessivo di 17 miliardi di dollari, con una crescita complessiva importante sia a volume (+4%) che a valore (+7%), come emerge dall’ultima analisi di Osservatorio del Vino e del Corriere Vinicolo (diretto da qualche settimana dal giornalista Giulio Somma, ndr) di Unione Italiana Vini (www.uiv.it), che sottolinea come, comunque, ci siano delle allarmanti se si prende in considerazione l’andamento dal 2012 ad oggi. I dati di crescita misurati in Cagr (che indica la crescita percentuale media annua dei ricavi) dal 2012, infatti, si riducono a +1,6% per i quantitativi e a +1% per i valori, che nel 2017 hanno dovuto fare i conti con l’indebolimento di dollaro e sterlina britannica sull’euro, innescando una spirale inflazionista che va ad annacquare fortemente la performance finanziarie.

Insomma, il peso della bottiglia di vino messa su un piatto della bilancia viene sorretto solo ed esclusivamente dal continente asiatico, perlopiù dalla Cina, visto che sia Hong Kong che il Giappone hanno incominciato a frenare.
Se il mondo fosse fatto solo dagli 11 Paesi monitorati in questa analisi, oggi il peso di Pechino sarebbe del 16% a volume e del 15% valore, praticamente raddoppiato nel giro di un quinquennio. Le performance cinesi di aumento nel lustro chiuso al 2017 stanno a +16% di Cagr volume e +13% di valore, con un distacco dal blocco Europa (Uk, Germania, Svizzera e Russia) che si è ridotto da 3,6 miliardi a 750 milioni di dollari. Il progressivo spostamento di interesse dei vari competitor verso Oriente (Cile e Australia) e il ribilanciamento verso le Americhe operato da neozelandesi ed europei (più Francia che Italia però) cominciano a produrre un effetto di impoverimento del blocco del Vecchio continente, a cui sembrano destinati soprattutto i vini di basso profilo che, però, rappresentano la quota maggiore dei fatturati.
A fine 2017 l’aggregato europeo ha visto peggiorare il quadro sul terzo trimestre: a volume da +7% si è scesi a zero, mentre sui valori si è rimasti in scia positiva, attorno a +10%, ma il dato è influenzato dall’inflazione della sterlina. Il bilancio 2017, così, cresce appena del +2% a volume (16 milioni di ettolitri) e del +7% a valore (5,9 miliardi di dollari), ma con performance negative sul lungo periodo. La Germania ha chiuso il quarto trimestre riportando in negativo il saldo a valore e confermando lo zero nei volumi, per un bilancio di fine anno che dice -5% sui quantitativi e -4% sul fronte valore (1,5 miliardi di euro, terzo calo consecutivo dal 2015).

Male il bilancio per l’Italia, che con un quarto trimestre ben sotto la linea dei 200 milioni di euro lascia il -2% da inizio anno, affiancato a un -3% sui volumi, mentre nel terzetto che segue gli unici a segnare aumenti sono gli Usa (+11%). Continua a essere fortemente problematica la situazione in Uk, dove la tendenza trimestrale negativa resta confermata e aggravata a dicembre (-10% in volumi, settimo passivo consecutivo): alla fine il saldo dei 12 mesi è di -5%, sotto soglia 7 milioni di ettolitri per la prima volta dal 2000 (nel pieno della crisi economica globale si importavano regolarmente quasi 9 milioni di ettolitri). I valori crescono, ma è un’altra spia di malessere: il dato finale (+5%, 1,9 miliardi di sterline) è drogato dalla debolezza della sterlina sull’euro e le altre valute. Vanno male le cose per tutti i big player, con l’Italia che lascia sul campo il 13% di volume e i vini bianchi Igp sotto addirittura del 22%, seguendo una dinamica negativa iniziata già a fine 2015. Chi continua invece a crescere sono i neozelandesi, con progressioni costanti del +15%, gli economici tedeschi, a 50 milioni di litri (cui si devono aggiungere 180 milioni di sfuso).
b<>La Russia invece conferma il quadro di ritrovata espansione, con il quarto trimestre attorno al +30% a volume e +40% a valore. I volumi sono finalmente tornati ai livelli del 2014 (2,6 milioni di ettolitri), mentre per i valori la ripresa è un po’ meno vigorosa, ma il balzo sul 2016 è comunque di +240 milioni. , con un solo Paese tra i top supplier, la Francia, a crescere sopra la media volume (+6%), l’Italia che raddrizza il passivo dei nove mesi, chiudendo a +3%, mentre tutti gli altri sono ricompresi in una soglia di calo tra -1% e -8%. Colpa, principalmente, della fluttuazione del Franco svizzero, che l’ha portato a perdere il 4% rispetto all’euro in due anni, con gli effetti sugli scambi che si incominciano a vedere: prezzo medio del vino acquistato nel 2017 a 8,42 franchi contro 7,78 del 2016, valore dell’import balzato a 851 milioni contro i 750 del 2015 e volumi tenuti forzatamente a freno sulla soglia dei 100 milioni.
Il blocco americano (Usa, Canada e Brasile) chiude il quarto trimestre in leggero rallentamento, con una progressione dei volumi del +1% nel trimestre (2,9 milioni di ettolitri) e dei valori del +6% (1,7 miliardi di dollari). Il totale 2017 sale così a 11,4 milioni di ettolitri e 6,4 miliardi di dollari di controvalore, con crescita annua rispettivamente di +4% e +6%. Negli Stati Uniti, l’apprezzamento dell’euro sul dollaro incide negativamente sui traffici generali: il saldo a valore di +2% per l’Italia e la Spagna viene praticamente annullato dai rapporti tra le due valute, mentre la stessa cosa non può dirsi per i vini francesi, cresciuti addirittura del +18%. Il gap che separava italiani e francesi, dal 2010 ancorato attorno ai 450 milioni di dollari a favore delle etichette del Belpaese, si è ridotto così a 316 milioni di dollari, un segnale da cogliere ed analizzare. Altro Paese che sta veleggiando bene in Usa è la Nuova Zelanda, ormai attestata stabilmente al terzo posto nel rank a valore, con una crescita nei 12 mesi del +6%. Passivo invece per Australia, Argentina e Cile. In definitiva, quindi, se il mercato import è cresciuto (+5%, a 4,3 miliardi di dollari), il merito è da ascriversi solo a francesi e neozelandesi.
Chiude positivamente il complesso dei 12 mesi anche il Canada, con un colpo di coda nel quarto trimestre (+6%) che consente un saldo generale di +3%. In ripresa i vini Usa (+2%), ma continua il processo di riavvicinamento delle etichette italiane (+5%), separate da 40 milioni di dollari. In forte aumento, ormai da un triennio, i vini francesi (+7%) e quelli neozelandesi e spagnoli, ormai alternativa solida ad australiani e sudamericani. Il Brasile, infine, conferma la robusta ripresa delle importazioni segnalata nel corso dell’anno, con crescite a doppia cifra per tutti i principali supplier e balzo al livello record di 340 milioni di dollari di valore generale. Nota positiva è l’arresto della tendenza erosiva dei prezzi medi, con l’Italia a +5% e asticella generale fissata attorno a 3 dollari per litro.
Infine, il continente asiatico (Cina, Hong Kong, Giappone e Sud Corea), che infila un altro trimestre record, confermando il superamento dei 2 milioni di ettolitri di giugno e settembre (+13%) e varcando per la prima volta la soglia di 1,4 miliardi di dollari di spesa (+24%), dopo aver infranto quota 1,3 a settembre. Insomma, record su record, il continente nel 2017 è arrivato a superare i 5 miliardi di dollari di valore, equivalenti a una crescita del +9% sul 2016. La Cina, sopra i 5 milioni di ettolitri (+15%), per un controvalore di 2,6 miliardi di dollari (+16%), è il driver della crescita generale del continente, dove tutti riescono a espandersi senza farsi male a vicenda: dai francesi, unici sopra il miliardo di dollari (+9%), agli australiani (+26%), fino all’Italia che con il +22% di crescita generale avvicina la Spagna, unico tra i big a registrare crescita inferiore alla media di mercato (+6%).
In Giappone, l’indebolimento progressivo dello yen su euro e dollaro, ha finito per dimezzare le crescite di francesi e italiani, ma anche di cileni e americani. A volume, i più gettonati restano i più convenienti sudamericani (+10%), mentre tutti gli altri si devono accontentare di crescite più piccole. Chiude in aumento del +6% il mercato sudcoreano, dove ormai i blocchi di potere sono abbastanza definiti: primi due francesi e cileni, attorno a 40 milioni di dollari, secondi due americani e italiani, a 23 milioni di dollari, quindi Spagna e Australia, a quota 11 milioni. Sulla piazza di Hong Kong si arresta l’arrembaggio delle etichette spedite dalla Cina (-22%, contro il +60% del 2016), portando il totale generale a -1%. Crescono le spedizioni da Francia (compresi i riexport da Londra, attestati al +17% in volume) e Italia, che rimane in sesta piazza ma con un buon +16%. Il traffico complessivo, comunque, è fermo sulla soglia dei 600.000 ettolitri ormai da tre anni.

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