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L’intervento - Floriano Zambon: “Così è cambiata l’Italia del vino …”. Il presidente delle Città del Vino ripercorre le tappe principali della grande crescita della nostra enologia e lancia idee per il futuro

Italia
Floriano Zambon

Vent’anni fa scoppiava lo scandalo del vino al metanolo e oggi siamo qui, noi delle Città del Vino, la rete dei territori doc, per ricordare quel fatto grave e testimoniare la lenta e faticosa ripresa che, anche con l’impegno delle amministrazioni locali, ha permesso al mondo del vino italiano di risollevarsi dalla crisi e raggiungere i successi che tutti conosciamo. Lo scandalo del vino al metanolo segna l’atto di nascita della nostra Associazione, fondata a Siena nel 1987, di cui l’anno prossimo celebreremo il ventennale. Vorrei sottolineare che la nascita delle Città del Vino va letta come una risposta degli enti locali, che sono la prima interfaccia del mondo imprenditoriale, a una crisi che travolse il vino italiano con molte ricadute sull’economie di paesi e città che vivono proprio di turismo e di vino.
A causa del metanolo il mondo del vino italiano sprofondò nell’abisso, le esportazioni e i consumi interni crollarono, decine di imprese finirono sul banco degli imputati, il nostro Paese si trovò ad affrontare una crisi del comparto vitivinicolo che non aveva precedenti. Il mondo dell’informazione seguì il caso con attenzione. Molti ricorderanno che si parlava di prezzi al consumo troppo bassi, di controlli e ispezioni carenti e inadeguate, di educazione e informazione alimentare lacunosa. Il metanolo, con l’inevitabile ondata di sdegno per le morti e i danni alla salute di decine di persone, gettò sul tavolo una riflessione profonda sul nostro mondo, il mondo del vino.
Il Paese però, unendo le migliori risorse e competenze del privato e del settore pubblico, è uscito lentamente e a testa alta dalla crisi. Oggi il vino italiano è sinonimo di qualità, di stile, buon gusto; il vino italiano evoca l’immagine di un Paese ricco di arte, storia, cultura, bellezze naturali. Il vino italiano evoca un’identità complessa, multiforme, che non tutti possono vantare e che rappresenta per noi un vantaggio competitivo. In questi venti anni abbiamo fatto molti passi avanti, ma nonostante ciò ci aspetta un cammino ancora in salita. Abbiamo davanti molte opportunità, ma altrettante minacce e sfide che ci arrivano da lontano, da Paesi che si sono entrati con decisione nella competizione internazionale, non senza meriti.
Vorrei sottolineare alcune profonde trasformazioni che sotto la spinta dell’imperativo della qualità sono avvenute nel nostro settore. Innanzitutto voglio mettere l’accento sul valore della terra, che riflette il valore del lavoro contadino. Venti anni fa, per citare qualche caso, un ettaro di vigneto nelle colline del Soave, nella mia Regione, il Veneto, oscillava tra i 40 e i 50 milioni di vecchie lire, oggi vale tra 210 e 230 mila euro. Un ettaro di vigneto nell’area del Frascati, una delle prime Doc d’Italia, valeva nel 1986 qualcosa come 70-80 milioni di lire, oggi costa circa 150 mila euro l’ettaro. Un ettaro di vigneto di Primitivo di Manduria valeva nel 1986 tra 20 e 25 milioni di lire, oggi vale 25-30 mila euro. Un ettaro di Brunello di Montalcino, vino simbolo del made in Italy, costava pensate un po’ tra i 35 e i 60 milioni di lire, oggi ha un prezzo che oscilla tra i 350 e i 500 mila euro. Questi pochi esempi ci aiutano a riflettere sulla crescita del valore fondiario delle nostre terre vitivinicole, crescita che è stata stimolata e accompagnata da indiscutibili successi dei nostri prodotti su tutti i mercati.
Il rinnovato prestigio del lavoro del vitivinicoltore è stato di stimolo per migliaia di famiglie a rimanere nei piccoli centri, a non abbandonare la terra, anzi a mantenere e curare il vigneto, a preservare l’ambiente e i paesaggi tipici dei territori coltivati a vite. E’ pur vero che l’impennata dei prezzi oggi rappresenta una barriera all’ingresso per le nuove generazioni di agricoltori, professionalmente più preparate e formate delle generazioni precedenti. Le politiche dell’agricoltura dovrebbero tenere maggiormente conto di queste difficoltà che incontrano i giovani vitivinicoltori e mettere a punto, anche con la collaborazione degli enti locali, politiche più efficaci di accesso al credito e di nuova imprenditorialità.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare riguarda la contrazione della superficie vitata italiana, che dal 1982 (dati Istat) passa da 1.145.096 ettari agli odierni 717.365 ettari. I dati evidenziano una forte riduzione del vigneto Italia, ma una produzione in vino che è variata molto meno. Questo significa che il vigneto Italia, a vent’anni dallo scandalo del metanolo, può vantare una produzione molto più specializzata e qualificata. La proprietà fondiaria è molto frammentata e polverizzata e se da una parte questo rappresenta un fattore di debolezza rispetto alle economie di scala che possono vantare i produttori del nuovo mondo, dall’altra è un grande punto di forza: la frammentazione ci ha permesso infatti di conservare e coltivare tantissime varietà di vitigni e di produrre un altrettanto significativa varietà di vini. Tuttavia dobbiamo impegnarci per il mantenimento delle nostre superfici vitate e per la loro ulteriore qualificazione.
L’Italia rappresenta in Europa un caso unico per la ricchezza di vitigni autoctoni e antichi. Siamo il Paese della biodiversità viticola. Si stima che in Italia siano presenti oltre 1.500 vitigni, la maggior parte dei quali ancora inesplorati dal punto di vista enologico. La tutela e la valorizzazione produttiva di questo patrimonio genetico è una delle sfide lanciate dalle Città del Vino. A questo proposito mi preme sottolineare, tra le numerose iniziative messe in campo, l’importanza di un progetto che stiamo realizzando nella Locride, in Calabria, dove nascerà un giardino dei vitigni antichi, con tanto di centro documentazione, laboratori di ricerca, itinerari turistici.
Il turismo del vino è un’altra grande sfida dell’Associazione. In Italia esistono 136 strade del Vino. Per la maggior parte stentano a decollare per mancanza di adeguate sinergie tra pubblico e privato. Nel 1986 il nostro Paese poteva vantare 57 milioni di arrivi, oggi scesi a 37,1 milioni l’anno. Un calo enorme, dovuto all’ingresso sul mercato turistico di nuove destinazioni. Una parte significativa del turismo italiano è rappresentata tuttavia dal turismo del vino, un segmento importante che arricchisce le destinazioni minori del Paese e indirettamente promuove il mantenimento dell’ambiente vitato. Secondo il “V Rapporto Città del Vino-Censis sull’enoturismo” in Italia si contano 4 milioni di enoturisti che muovono un giro d’affari di 2,5 miliardi di € con un tasso di crescita annuo stimato nell’ordine del 6 per cento. E’ un turismo che riesce a influire sull’andamento del mercato locale del vino, che stimola le vendite dirette in cantina, che ottimizza il rapporto tra vino e cibi tradizionali, che aiuta le piccole amministrazioni, sempre più a corto di risorse, a promuovere il mantenimento dell’ambiente e del paesaggio vitivinicolo.
Oggi le Città del Vino, dopo le esperienze maturate in questi venti anni, sono decise più che mai ad affrontare la realtà quotidiana del comparto vitivinicolo ed enoturistico. Città del Vino, che è una rete di territori doc, annovera oltre 540 Comuni, per lo più piccole amministrazioni con vaste aree da governare. I Comuni sono la prima interfaccia dei produttori di vino. L’efficienza dell’azione amministrativa favorisce lo sviluppo delle imprese locali, l’impegno promozionale degli enti locali è ossigeno anche per il sistema delle imprese. I Comuni a vocazione vitivinicola possono dare un importante contributo alle politiche di governo del settore. Molte Città del Vino vantano la presenza di scuole alberghiere ed enologiche, una risorsa che le politiche nazionali della scuola dovrebbero valorizzare anziché favorire la fuga dagli istituti di specializzazione.
Siamo convinti che sia necessaria a livello nazionale una più incisiva governance del comparto vitivinicolo e del turismo enogastronomico. Siamo certi che l’Italia possa fare nuovi passi avanti nel mercato mondiale del vino decidendo di puntare con convinzione sui tantissimi vitigni autoctoni, per i quali è necessario investire anche in termini di ricerca scientifica, oltre che commerciale. Dobbiamo investire inoltre sulla scuola per formare le nuove generazioni di professionisti del vino, a tutti i livelli, dagli enologi agli addetti alla ristorazione. Dobbiamo investire infine sullo sviluppo dell’enoturismo e delle Strade del Vino, per non lasciarle in mezzo al guado, ma accompagnarle per accompagnare il consolidamento dei mercati locali.

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