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L’INTERVENTO - MARKETING O NON MARKETING: NON È QUESTO IL PROBLEMA! DA WINENEWS GLI ESPERTI DELLA MIB SCHOOL OF MANAGEMENT DI TRIESTE (MBA IN WINE BUSINESS) ALESSANDRA GRUPPI E PIERPAOLO PENCO SPIEGANO LA LORO VISIONE SUL MARKETING DEL VINO

Italia
Marketing per le cantine italiane

Fino a poco tempo fa, nel mondo del vino la parola “marketing” assumeva un’accezione prevalentemente negativa. Tutto concentrato sul prodotto, al fine di raggiungere picchi qualitativi sempre più elevati, il vignaiolo italiano parlava di “marketing”, quasi con sufficienza, quando vedeva aziende che vendevano più bottiglie di lui e a prezzo più alto. La Francia ne era il chiaro esempio, almeno nel sentire comune. Ora pare che tutti i problemi attuali del vino italiano dipendano dall’assenza di marketing nelle aziende. Non passa fiera o evento in cui non si organizzi un bel convegno sul marketing del vino, tema di attualità anche su riviste, pubblicazioni e persino tesi di laurea.
Quale marketing per il vino italiano
Nel settore del vino non è la prima volta che si parla o si fa marketing, solo che oggi la “ricetta” è più complessa. Nella progettazione e lancio del programma dell’Mba in Wine Business ci siamo trovati più volte a discutere sul fatto se le aziende vinicole italiane facciano marketing o meno e, soprattutto, come. Abbiamo potuto confrontarci con realtà francesi e spagnole, con docenti ed esperti anglosassoni e abbiamo avuto la possibilità di attivare un dibattito con gli stessi studenti, imprenditori o manager delle migliori aziende in Italia. Siamo d’accordo che il settore avrebbe maggiore bisogno di marketing, ma non tanto di marketing operativo (più comunicazione, più brochure, un nuovo sito web, un packaging più accattivante ...), quanto di marketing strategico, di razionalizzazione degli sforzi, di maggiore focalizzazione su posizionamenti distintivi, di analisi strategiche dei mercati distributivi, di collaborazione, di co-opetition (competizione cooperativa).
Le aziende vinicole moderne devono chiedersi: “se la qualità e la valorizzazione del mio prodotto è eccellente, perché devi venire da me”? Ovvero, perché tra tanti prodotti qualitativamente di livello alto e riconosciuto, di tante zone rinomate, uno dovrebbe scegliere proprio quel vino? Cos’ha questa azienda di diverso e in più delle altre? Se il vino è fatto di sogni, di emozioni di sensazioni, le aziende italiane sono sicuramente molto attente a creare eventi, qualcuna ad investire sul trade, a gestire l’accoglienza, a creare ambienti (si pensi agli enormi investimenti in cantina compiuti negli ultimi anni, spesso in collaborazione con architetti di prestigio). Ma a volte tali strumenti non sono coordinati, sono frazionati, concentrati su alcune azioni o non valorizzati al meglio. I budget limitati poi impediscono la realizzazione di altre iniziative, così gli sforzi per creare un sogno si vanificano o quantomeno si riducono.
Il marketing è fatto di intuizioni e di creatività. Oggi queste non bastano più, il mondo è veloce, selettivo, non c’è tempo per sbagliare e imparare. All’intuito vanno abbinate metodologie rigorose, calcoli molto attenti, programmi non improvvisati. E poi non dimentichiamo che l’obiettivo del marketing è sì creare sogni, ma dal punto di vista delle imprese è creare profitto, nel breve e nel lungo periodo. E allora la creatività si deve confrontare con gli strumenti di gestione, con il controllo strategico, con i processi di budgeting. Hanno bisogno di più marketing le aziende del settore? Se si confonde marketing con vendite o con comunicazione, magari solo verso i media, il risultato positivo non sarebbe di lungo periodo. Se il marketing è inteso come il processo di attivazione di un meccanismo virtuoso di managerializzazione e di visione strategica dell’azienda sicuramente si!
Paul Wagner, nostro docente di pr e comunicazione per il mercato Usa, nel convegno a Vinitaly nel quale era relatore, ha sostenuto che le strategie di molte imprese italiane sono poco realistiche perché puntano a diventare national player con produzioni molto limitate di bottiglie, quando, ad esempio, potrebbero razionalizzare gli sforzi e concentrarsi su alcune città o Stati chiave. Questo approccio è sintomatico dell’assenza di un’orientamento aziendale al marketing strategico e, di conseguenza, da una generale improvvisazione dell’approccio al marketing internazionale. Col risultato che si corre dietro alle occasioni, non si scelgono sempre i partner giusti per il proprio tipo di azienda, non si comunica bene il prodotto, si conosce poco e quindi si raggiunge con scarsa efficacia il consumatore. Pensiamo all’export di molte aziende, la cui unica fonte di informazione è solo l’importatore, il quale fa principalmente il proprio interesse. Scommettiamo che molti non sanno dove vengono posizionate le bottiglie, con quale messaggio, presso quali clienti, con che ricarichi, di conseguenza quale immagine dell’azienda viene data?
Il marketing del vino si fa al Sud?
Da una recente analisi risulta che il Sud “vince” perché fa marketing. Sarebbero importanti molte considerazioni al riguardo. Dal punto di vista del marketing strategico il posizionamento delle aziende del Sud, siciliane in primis, è sicuramente favorito da una forte integrazione tra il concetto Sud Italia-Mediterraneo-solarità, le cantine ed i loro vini. Ma anche da una fase del mercato che, sulla scia delle produzioni del Nuovo Mondo, richiede un determinato tipo di vino che può essere offerto dalla produzione siciliana, pugliese o campana, pur nella diversità di microclimi e vitigni. Il settore vinicolo al Centro-Nord ha per decenni puntato ad uno sviluppo legato ai Consorzi, alle Denominazioni d’Origine, traendone un beneficio ma ora anche un potenziale freno (è d’attualità la riforma della legge 164). Oggi quindi sono altre zone a dimostrare maggiore dinamismo.
Quello siciliano è un esempio di aggregazione su alcuni valori forti, dettati anche da superfici aziendali più ampie della media e, se vogliamo, anche da un corretto utilizzo di fondi pubblici per la promozione e lo sviluppo (vedi il padiglione comune nelle ultime fiere e le attività di supporto). Il problema può nascere laddove sia necessario costruire un significato, dove bisogna scegliere se valorizzare prima il proprio brand e poi il territorio di provenienza, o se prima il territorio e a questo abbinare il proprio brand. In Australia si è puntato congiuntamente sul rafforzamento dei marchi aziendali e su un territorio “ombrello”, l’Australia stessa. Ora che il territorio-Australia è universalmente conosciuto, gli studiosi di marketing e le aziende stesse (che collaborano...) stanno ponendosi l’obiettivo di valorizzare il rapporto con territori più piccoli, da Coonawarra a Barossa Valley. Fino ad arrivare, in futuro, alle singole vigne.
In Italia un processo di questo tipo è impensabile tranne che in alcune zone, guardacaso al Sud. La Sicilia, che produce tanto vino quanto l’Australia, è certamente la più avvantaggiata, soprattutto se non compie errori strategici (vedi la discussione per la creazione di una Doc regionale che si affianchi all’indicazione geografica). I vari Planeta, Donnafugata, Pellegrino, Cusumano,  Firriato avrebbero successo anche in un altro territorio dalla legislazione più stringente (ad esempio in Friuli non c’è né una Doc né un’Igt con questo nome) e dall’individualismo più spinto? O è stata la capacità di cooperare, facendo leva su questo legame territoriale a far nascere e rafforzare anche i brand aziendali?
Una nuova visione del marketing
Per il rispetto nei confronti di un settore così pieno di storia, di cultura, di tradizione, è importante fare molta attenzione a non inseguire falsi miti, a pensare che, facendo marketing, il settore debba rivoluzionare completamente i propri valori. Focalizzarsi sul cliente non significa dargli semplicemente quello che chiede, perché potrebbe non saperlo, e per un vino questo è importante. Se da un lato è fondamentale conoscere il consumatore (anzi, i consumatori), elemento spesso trascurato nell’ottica product oriented di questo settore, risulta essenziale, per le aziende italiane, riuscire a riconoscere i propri punti di forza (storia, territorio, cultura) e far leva su questi per creare quei valori intangibili da mettere nella bottiglia.
Di sicuro, se è vero che le aziende comunicano, devono sforzarsi di comunicare di più con i nuovi consumatori, quelli per i quali per sognare non basta citare dei termini criptici, ma è necessario spiegare cosa c’è dietro il vino, far assaporare il fascino di un prodotto potendo andare oltre un’etichetta. Un po’ come quanto è successo per il Pinot Noir in “Sideways”: non basta fare un film per posizionare il vino, ma farlo serve a comunicare e a rendere veicolo di emozioni una semplice bottiglia … E le vendite di Pinot Nero negli Usa sono cresciute del 20%. Ormai per chi si occupa di marketing si dice che “non basta più il marketing olistico, è necessario pensare al marketing laterale”. Tradotto nel settore vinicolo significa che non basta più che dall’enologo allo spedizioniere siano attenti ai clienti, magari di Paesi diversi, con esigenze diverse. Servono nuove idee creative, serve entrare nel processo di bisogno del cliente ed entrare nel suo mondo dei valori. Facendo in modo che intersechino i valori e le storie che le nostre aziende e i loro vini possono proporre.

*Mib School of Management di Trieste
Alessandra Gruppi
- Responsabile Area Marketing Executive Education
Pierpaolo Penco - Coordinatore Mba in Wine Business.

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