Scherzandoci su, vien da dire che le nostre coop da vino funzionano tanto più alla grande quanto più alta è la quota a cui debbono dispiegare la loro ricerca di qualità e d’aggregazione. C’è l’Alto Adige (e il Trentino) a sostanziare il concetto, coi risultati eccelsi colti. E la ciliegina sulla torta (o sul mont-blanc, fate voi) ce la mettono i valdostani col loro lavoro misurato per quantità, spesso eroico, ma in luminosa crescita ormai da lustri. Ne è ulteriore conferma questo Pinot Nero (il più capriccioso eppure più ambito tra i vitigni a bacca rossa che il vigneto Italia ha adottato, e che proprio nel lavoro in altura ha trovato gli esiti migliori) firmato dalla Crotta di Vegneron: 70 soci e 200.000 bottiglie in tutto - ma dentro un mosaico di tutte le tipologie in gamma regionale - e uve per lo più dalle zone denominate di Chambave e Nus. Questo fresco, aggraziato, pimpante 2018 (che ha anche un fratello di maggior calibro in listino, ma è un mezzo d’approccio a casa e cépage sorridente davvero, dal gusto al prezzo) è figlio di terreni morenici e sabbiosi, non vede legno, trae grip da una breve macerazione pre-fermentativa, e gioca le sue carte tra fiori di primavera (viola, rosa canina, pruno) e saporiti piccoli frutti conditi dai minerali dei suoli d’origine. Si beve con gioiosa scioltezza. E, proprio per questo, lascia tracce ampiamente gratificanti e seduttive in memoria.
(Antonio Paolini)
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