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La gdo italiana investe sul vino, mentre il vino del Belpaese conquista gli scaffali Usa, con un terzo del vino venduto nei supermercati. La ricerca Iri a Vinitaly, con Coop, Conad, Carrefour, Federvini, Uiv e Frederick Wildman

Italia
Il vino italiano nella gdo tra Usa e Italia

Formato, colore e denominazione di origine. Poi il prezzo, ed infine la regione di appartenenza. Ecco i criteri con cui scelgono il vino gli americani nella gdo Usa, canale che muove 8 milioni di ettolitri per un fatturato di 2,5 miliardi di euro. Di cui 1 è di vino italiano, con i più acquistati che sono sono il Prosecco, il Pinot Grigio, il Chianti, il Lambrusco, la Barbera, il Primitivo, il Gavi, il Rosso di Montalcino, il Nero d’Avola, il Dolcetto ed il Trento Doc.

A dirlo una ricerca di Iri, di scena a Vinitaly, da cui emerge che, tra gli scaffali Usa sono i vini a denominazione d’origine e i vini tipici regionali, mentre avanzano i vini biologici (5,3 milioni di bottiglie). Il formato preferito dai consumatori è la bottiglia da 0,75cl mentre il brik è in flessione e sono sempre più graditi nuovi formati come la mezza bottiglia (+21,3%) e il bag in box (+13,8%).


Tutto questo in un trend che da anni vede scendere i consumi di vino degli italiani, che però cercano sempre più la qualità, e la grande distribuzione, anche in Italia, ha migliorato sensibilmente la propria offerta, come sottolineato da Roberta Corrà, dg Gruppo Italiano Vini e rappresentante di Federvini, “è indubbio il fondamentale ruolo giocato dalla Gdo nell’evoluzione del settore vitivinicolo, una crescita non solo numerica, ma anche di qualità. É aumentata la sensibilità per prodotti di prestigio con prezzi anche elevati, con marche note, profondamente legate al territorio. Questo in risposta al cambiamento delle esigenze del consumatore”. Parole condivise da Enrico Zanoni, dg Cavit e consigliere di Unione Italiana Vini: “registriamo negli anni una costante “premiumizzazione” della domanda, come evidenziato dalla crescita dei vini a denominazione d’origine e dei vini fermi a connotazione regionale, i cui primi 10 vitigni pesano circa per il 30% dei consumi totali”.

Canale importante, quello della gdo, dove c’è chi sperimenta, per esempio con il co-branding, come ha spiegato Alessandro Masetti, responsabile settore Shelf Stable Food & Beverage di Coop Italia:“non parliamo di etichette dedicate, ma di vini dedicati. La logica non è quella di un prodotto industriale ma artigianale, realizzato su quantità limitate, utilizzando le migliore tecniche di vinificazione, seguendo la raccolta in vigna su appezzamenti dedicati e facendoci supportare nella scelta finale del prodotto da un ente esterno autorevole come l’Ais, per meglio rappresentare le particolarità territoriali”.

Tutti, in ogni caso, investono in innovazione, come ha sottolineato Alessandra Corsi, responsabile marketing dell’offerta e sviluppo dei prodotti a marchio di Conad: “si pensi all’ampliamento e valorizzazione della qualità dell’offerta, con l’utilizzo delle diverse leve del retail mix: assortimento, promozionalità, esposizione, Marca Commerciale. E poi c’è una sempre più forte riscoperta dell’italianità, testimoniata dalla crescita continua di vitigni che in precedenza erano localizzati esclusivamente nei territori di vocazione”.

Altro segmento in grande crescita, quello del vino bio, come spiegato da Gianmaria Polti, responsabile acquisti Beverage di Carrefour Italia: “i vini biologici sono ormai una realtà su cui anche le cantine stanno convertendo alcune produzioni e noi, già da tempo, stiamo dedicando uno spazio e una numerica di referenze rilevante all’interno dei nostri assortimenti sia nelle grandi superfici ma anche nei negozi di prossimità”.

Tuttavia, la gdo può fare ancora molto nel campo della comunicazione del vino, come ha sottolineato Luigi Rubinelli, direttore di Retail Watch e moderatore della tavola rotonda: “il reparto dei vini ha bisogno di atmosfera, bisogna crearla, non sempre è sintonica con il prodotto. Poi servono informazioni, in genere ne sono presenti poche, e vanno suggeriti gli abbinamenti col cibo, è veramente raro trovarli”.

E se questo è il quadro generare, che vale per l’Italia, ma in qualche modo anche per gli Usa, negli States emerge che “gli americani differenziano molto la scelta del vino in base alla modalità di consumo (a tavola in casa, compleanni, ospiti a casa, ricorrenze) - ha spiegato Marc Hirten, Presidente di Frederick Wildman, società Usa che distribuisce vino italiano - e se in enoteca acquistano vini blasonati come il Barolo, i Super Tuscan, il Brunello, il Franciacorta o l’Amarone, acquistano regolarmente sugli scaffali del supermercato i vini italiani, la cui gamma d’offerta si è molto ampliata negli ultimi anni”.

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