La fotografia attuale della Valpolicella enoica, nonostante la fase critica che sta attraversando soprattutto il vino rosso, mostra una denominazione in salute che conta su numeri significativi: più di 2.400 aziende, 360 imbottigliatori e un vigneto di 8.600 ettari, per un valore attorno ai 6 miliardi di euro (considerando il patrimonio di vigneti e cantine), valore raggiunto negli ultimi 25 anni, in cui il valore fondiario dei terreni vitati è cresciuto del 133%, a fronte di un’estensione dei vigneti aumentata del 65%. E per quanto riguarda lo specifico dell’Amarone, il fiore all’occhiello della Valpolicella e della sua capitale Verona, la sua storia parla di un vino dinamico e prezioso, capace di sfidare e vincere le varie fasi della storia enoica. Se negli anni Cinquanta, al suo esordio, era un vino classico e “severo”, legato al territorio più che al metodo di produzione, a cavallo fra anni ’90 e Nuovo Millennio è diventato più concentrato, utilizzando anche varietà internazionali e legno piccolo, per guadagnarsi il suo successo soprattutto negli Usa. Oggi, è un vino contemporaneo di solida longevità e legato alle varietà locali, giocato su freschezza e sapore grazie a lunghe macerazioni e appassimenti più brevi. Da vino da meditazione a vino gastronomico, verrebbe da dire, con un passaggio che segna un mutamento nelle sue occasioni di consumo e, soprattutto, che smarca l’Amarone dal dualismo tra territorio e metodo, in una fusione irripetibile per condizioni pedoclimatiche dei vigneti, per varietà tipiche e ideali per l’appassimento - tecnica strettamente territoriale, e in cerca del riconoscimento Unesco - e per il saper fare tramandato e adeguato con ricerca e tecnologia al cambiamento climatico.
(fp)
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