Da dove cominciare? Forse dagli inizi del vino italiano moderno, di cui Mastroberardino è stata cantina protagonista. Oppure dall’attaccamento al territorio: che ha inteso soprattutto rimarcare i meriti del greco, del fiano e dell’aglianico, in quello spicchio di terra compreso proprio fra le relative Docg irpine (Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi). Oppure dalla continua acquisizione di terreni vocati alla migliore viticoltura, in conduzione convenzionale ma mai irrispettosa dell’ambiente o foriera di produzioni estremamente intensive o qualitativamente depauperanti. Siamo alla decima generazione, per una vicenda iniziata nel Settecento (consiglio ulteriore, quello di una visita pressoché imprenscindibile alle storiche cantine) e oggi rappresentata da circa duecentocinquanta ettari di vigna: sotto la responsabilità di un manager avveduto e competente come Piero Mastroberardino, degno erede di Antonio, che come il suo papà è decisamente avanti rispetto a molti suoi colleghi, proiettato da sempre nel futuro pur se nella costante salvaguardia del passato. Bando alle ciance, però, e naso e palato immersi in questa Riserva emozionante, tra le migliori edizioni di sempre: un trionfo di prugna, ribes, tabacco, spezie ed humus, dal percorso gustativo austero, lungo, solido, persistente e con tannino compatto ma finissimo al contempo. Un capolavoro da tramandare ai posteri.
(Fabio Turchetti)
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